9 Novembre 2004 - Le radiazioni da un buco nero
La materia circostante produce emissioni in due modi distinti
Secondo le
previsioni degli scienziati, i getti e il disco di materia che circondano un buco nero
emetterebbero schemi di radiazione differenti, e dunque i buchi neri produrrebbero raggi X
in due modi distinti. Riuscire a separare le componenti di questi segnali potrebbe aiutare
gli astronomi a comprendere il funzionamento di questi fenomeni cosmologici. Ora, per la
prima volta, gli astronomi sono riusciti a osservare e separare i due tipi di radiazione.
Un buco nero, per definizione, non può essere osservato direttamente, in quanto persino
la luce non riesce a scappare dal suo campo gravitazionale. Ma gli astronomi possono
osservare l'intensa radiazione emessa dalla materia mentre viene risucchiata dall'oggetto.
I raggi X costituiscono la componente più brillante di questa radiazione, emessa dalla
materia che transita in prossimità dell'"orizzonte degli eventi", il punto di
non ritorno avvicinandosi al buco nero.
Mentre polvere e gas vengono risucchiati, formano un disco a forma di ciambella che gira
vorticosamente attorno al centro prima di precipitarvi dentro. L'attrito riscalda gli ioni
e gli elettroni fino a circa 10.000 °C, generando raggi X durante il processo.
Contemporaneamente, parte della materia viene respinta dal forte campo magnetico del buco
nero, creando due getti che vengono emessi in direzioni opposte. Al loro interno, gli
elettroni spiraleggiano quasi alla velocità della luce, generando a loro volta raggi X.
Le teorie sostengono che il disco debba produrre raggi X di energia più bassa rispetto ai
getti. Ma finora nessuno era riuscito a determinare da quale fonte provenissero i raggi X
captati dai telescopi. Ora Giorgio Palumbo dell'Università di Bologna e Paola Grandi
dell'Istituto di Astrofisica Spaziale e Fisica Cosmica del CNR di Bologna, analizzando
dati racconti dalla navicella BeppoSAX fra il 1996 e il 2001, ci sono riusciti.
BeppoSAX aveva studiato un Buco nero chiamato 3C273, situato in una galassia a 3 miliardi
di anni-luce dalla Terra. In un articolo pubblicato sulla rivista "Science", i
ricercatori spiegano di aver scoperto che parti differenti del segnale variano in
intensità su due scale temporali separate. Confrontando i dati raccolti, sono riusciti a
determinare quali raggi X contribuiscono a ciascuna componente.
Fonte: Le scienze Online
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