CALICANTO,
appunti di antropologia
e etnografia dell'educazione e della dominazione
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La pubblicità non é una
cultura nuova, é l'anticultura per eccellenza. La cultura,
quanto più la si frequenta precocemente, più si diventa
un adulto autonomo. La pubblicità, quanto più vi si
é sottomessi precocemente, più si diventa un adepto
ancorato, agganciato.
La pubblicità é doppiamente regressiva: uno,
perché non può essere efficace che mirando ai fantasmi
e alle pulsioni di ognuno; e due, perché, affinché
infantilizzi gli adulti, comincia con i bambini. Le marche tentano
così di "fidelizzare" i bambini già in precedenza ai
due anni di età.
Questo addestramento dei più piccoli non ha in sé
niente del naturale o del legittimo: ancora vent'anni or sono, in
Francia, era proibito utilizzare direttamente dei bambini per vendere
dei prodotti e in Grecia é sempre ancora proibito emettere
delle pubblicità per dei giochi nelle ore di visione dedicate
a loro
sappiamo bene quanto é facile sfruttare
commercialmente i sogni dei bambini e dei ragazzi. Un bambino non fa
la differenza tra pubblicità, finzione o realtà. La
pubblicità non é solamente un supplemento d'anima di
cui il sistema ha bisogno. Essa gli é certamente
indispensabile per vendere il prodotto ma al di là di questo
gli é indispensabile per far regredire gli individui al
livello dei loro fantasmi di base.
La funzione della cultura aveva come scopo quello d'imbavagliare
questi fantasmi, queste fobie, per ricordarci che non siamo
onnipotenti, che abbiamo bisogno degli altri e che nessuna cosa
può rimpiazzare e colmare questo desiderio dell'altro
La globalizzazione in corso chiama all'invasione generalizzata della
pubblicità. McDonald non esisterebbe se non potesse
bombardarci con i suoi messaggi: ne ha bisogno per spazzare secoli di
storia, di umanizzazione delle pratiche alimentari, di rispetto delle
figure parentali e identitarie.
La pubblicità resta (ma ancora per quanto tempo) proibita
all'interno delle scuole. La protezione dei ragazzi si organizza
pertanto anche con il rifiuto di esporli alla pubblicità.
Le marche, certamente, esistono da molto tempo, ma con un senso
differente. In altri tempi la fedeltà a una marca era legata
all'idea che questa fosse migliore (a torto o a ragione), che i suoi
prodotti fossero migliori, più resistenti ed efficaci. La
pubblicità mirava a convincerci con degli argomenti
pseudo-razionali. In contropartita l'attaccamento attuale alle marche
si nutre d'irrazionale, perché mira, prima di tutto, a
realizzare una identificazione primaria. Il bambino che esige dei
prodotti di una marca definita non giustifica più la sua
scelta per la qualità (reale o falsa) del prodotto, ma
solamente per il solo fascino del loro nome (logo, segno). Si vuole
fargli credere così, che otterrà, attraverso questo
nome, una identità sua propria.
Le culture specifiche, le culture locali, si assottigliano cedendo
posto a questo surrogato (ersatz) culturale. A questo riguardo, i
giovani delle periferie non sono sufficientemente integrati ma molto
più e troppo integrati al sistema delle marche, al consumo.
Questa ricerca d'identificazione, tramite il mercato, é
generatrice di violenza. Questa identificazione non ci mostra
solamente le peripezie di uno scacco (come pagarsi i prodotti di
marca) ma conduce a un vero mercato di gonzi. In verità non si
può mai ottenere un equilibrio sociale o psichico
identificandosi a una pubblicità: vale a dire essere un figlio
della pubblicità come gli altri esibendo la propria
conformità e/o diventare un agente della pubblicità
come gli altri (indossando la marca o quant'altro) esibendo la
propria conformità.
La posta in gioco é importante: come ci si definisce?
Qual'é la proprio identità? I nostri nonni portavano
sovente delle insegne religiose, noi portiamo piuttosto delle insegne
politiche, i nostri figli portano delle marche: abbiamo dei figli
Nike, dei figli Benetton, dei figli MaDonald o Coca Cola! Chiedete di
togliere o provate a far togliere il cappellino in alcuni licei:
impossibile perché tale richiesta é vissuta come una
violenza, la violazione dell'identità stessa del giovane.
La pubblicità é pervenuta ad impadronirsi delle
identità, a manipolarle e a trafficarle. Non é un caso
che il racket concerne le marche; e questa é ben una ulteriore
prova che il mercato porta in sé stesso la violenza.
Per sminuire le persone al rango di consumatore la pubblicità
deve investire il profano e il sacro, almeno ciò che era
considerato sino allora sacro: profana i sentimenti. le
identità, i valori, gli impegni. Ci vende dell'amore, della
tenerezza, dell'amicizia, della generosità. Parallelemente
sacralizza le cose più profane: "ci alziamo tutti per Danette"
(N.d.T.. l'autore fa riferimento a una pub francese che dice: "on se
lève tous pour Danette")! Ma davanti a chi ci si alza (se
lève-t-on) se non davanti a un (nuovo) dio? La
pubblicità toglie ogni dignità all'umano per
trasferirla alle mercanzie. E' lei che farà di voi qualcuno,
se voi appartenete alla massa.
Come la pubblicità rappresenta i consumatori, in breve gli
esseri umani? Tale costruttore di automobili vi immagina in un gregge
di pecore, tal altro ci vede allineati uniformemente come posti di
posteggio. La vita senza marche sarebbe quella del grigiore. Varrebbe
la pena d'essere vissuta? Grazie a Renault usciamo dal gregge, grazie
a MacDonald d'esistere
E' il prodotto che crea la sorpresa, che singolarizza l'avvenimento.
E' il prodotto che rende liberi, irresistibili e onnipotenti. La
società vista dalla pubblicità é quella del
grigiore e della monotonia. Voi non potrete più niente per
voi, per la vostra libertà, il vostro benessere, la vostra
felicità: se non, evidentemente, identificandovi a delle
marche che daranno senso alla vostra vita. Il consumo di marca
creerebbe un sentimento d'esistenza. Eppoi essa vive sul proprio nome
e non sull'utilità reale dell'oggetto: un cappellino Nike
é principalmente ed essenzialmente il suo logo!
Smettiamola di credere che tutto ciò non sia grave. Non
é vero che i giovani d'oggi s'appropriano delle
pubblicità per disarmarle. La réclame in altri tempi
cercava di parlare con le persone, oggi sono le persone che
scimmiottano la pubblicità, che riproducono i suoi gesti e
ripetono le sue formule. La pubblicità é una operazione
mostruosa di formattazione che mira a far regredire l'individuo al
livello delle sue immagini più arcaiche. L'individuo profanato
dal mercato non ha altra soluzione che quella d'identificarsi a una
marca, o piuttosto a quella parte di umanità che crede
vendere. "Loréal perché lo valgo bene" ("Loréal
parce que je le vaux bien"), Kronenbourg per avere degli amici,
etc.
La pubblicità giocando su mimetismi infantili sviluppa una
sorta di normopatia, vale a dire il bisogno infantile di
sottomettersi a delle norme. Ammazza l'immaginazione e la
creatività degli individui e dei popoli. Così docile e
dolce in apparenza come cugina tosta e dura ha la propaganda. E'
dunque la figlia di un nuovo totalitarismo nei mezzi e nei
fini.
La pubblicità é dunque ben più della sua funzione commerciale immediata. essa é ci?o che permette di sminuire le persone al rango di semplici consumatori che cominciano col consumare dei prodotti, poi consumatori di altri esseri umani (management moderni, violenze sessuali) e finisce con consumarsi se stesso (doping e sette). I liceali statunitensi hanno mostrato l'esempio conducendo scioperi contro i programmi di pubblicità obbligatori la mattina in alcuni Stati. Bisogna preservare lo spazio pubblico imponendo già il rispetto delle regole. Bisogna formare i ragazzi alla lettura (critica evidentemente) delle pubblicità.
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