CALICANTO, appunti di antropologia e etnografia dell'educazione e della dominazionenumero 2 "subordinazioni" |
Circondati da oggetti
Veniamo al mondo circondati da cose: oggetti che ci accompagnano, ci
aggrediscono, ci assediano, ci consolano, oggetti che ritroviamo sulla
nostra strada e dei quali non possiamo fare a meno; il nostro rapporto
con il mondo è anzitutto un rapporto con le cose del mondo stesso:
una seria pedagogia materialistica non può non occuparsene, non
può ignorare questo dato di fatto. Una pedagogia della resistenza 1
non può che essere pedagogia della materialità e nel
mondo della materialità affondare le sue categorie e proporre le
sue strategie.
Il mondo occidentale è letteralmente assediato dalle cose: basta
fare una gita in un deposito di rifiuti per rendersene conto. Solo gli
imballaggi, cose che contennero cose, riempiono ogni anno centinaia di
ettari di terreno con la loro ingombrante presenza.
Siamo schiavi delle cose al punto che non sappiamo come smaltire le
buste, le scatole, i barattoli che le contengono. E il nostro potere sulle
cose a volte si riduce al potere sugli imballaggi, e forse nemmeno a quello.
La nostra cassetta delle lettere trabocca involucri di plastica contenenti
riviste che mai leggeremo, le nostre bevande sono contenute in bottiglie
contenute in confezioni da tre contenute in scatoloni da cento.
Assistiamo alla clonazione delle cose che lungi dall'essere moltiplicazione
delle possibilità di intervento sul reale è clonazione dell'inutile:
i ragazzi a scuola comperano antologie di 1000 pagine delle quali ne studieranno
50, e sfoggiano in prima elementare pastelli a ducento sfumature che non
servirebbero nemmeno a un pittore affermato.
Occorse ribellarsi non tanto alle cose quanto alla loro assurda proliferazione,
occorre una ribellione attenta e materialistica contro un sistema che ha
eretto la peggiore e la più inutile delle metafisiche, quella dell'involucro.
In questo senso, nei confronti delle cose del mondo che ci circonda,
una scelta di resistenza è, oggi in
Occidente, necessariamente una scelta di sobrietà; sobrietà
che però non significa equa condivisione della povertà: si
può scegliere di essere sobri quando non si muore di fame, c'è
poco da essere sobri nelle scuole dei villaggi africani che hanno una sola
matita per dieci bambini; c'è poco da essere sobri nei villaggi
che non hanno scuole. La scelta di sobrietà è una scelta
che proviene dall'élite occidentale e che non può come tale
essere estesa a tutto il mondo; ma oggi a volersi estendere a tutto il
mondo è il sistema di vita occidentale, che spaccia democrazia fittizia
con gli slogan del tipo "un frigorifero in ogni casa e un'auto in ogni
garage"; lungi dal voler davvero portare i garage in Africa questi slogan
hanno solo il senso di perpetuare e di naturalizzare il western way of
life: è così che si vive, dunque è cosi che si deve
vivere, è impensabile l'altrimenti.
La scelta della pedagogia della resistenza
La scelta della sobrietà nell'uso e nel consumo degli oggetti
è una scelta di pedagogia della resistenza se e solo se si connette
a un chiaro e consapevole rifiuto delle fittizie opportunità di
scelta multipla offerte dal mercato. La clonazione dell'identico non è
certo un delirio fine a se stesso; è certo un delirio che però
giova a qualcuno, che a qualcuno fa guadagnare denaro e prestigio. "Ci
sono troppe automobili, troppe case, troppi canali televisivi, troppe radio,
troppi giornali, troppi garage, troppi appuntamenti (...) Tu dimmi una
cosa qualunque e io ti dimostrerò che ce n'è troppa." 2:
ma questo troppo è necessario, è quella declinazione dell'ideologia
che Marx chiamava "apparenza socialmente necessaria".
Se si proponesse di limitare i consumi, di limitare i cloni, di abbandonare
la ricerca attorno a qualche nuova forma inutile di volante d'auto o di
tubetto di tempera, qualche economista liberal ci metterebbe davanti agli
occhi il ricatto della perdita del posto di lavoro per gli addetti ai cloni.
Il contenuto di verità della sua affermazione è nel fatto
che il sistema si cambia solo integralmente, modificandone gli assunti
di base; il suo carattere ideologico è nel fatto che la base non
possa modificare lo stato di cose presente, che occorra rassegnarsi.
L'esperienza del doppio
Gli oggetti sono tanti, sono troppi, sono infinite reduplicazioni di
una identità che va smarrita. La letteratura tardoromantica ci ha
narrato l'esperienza perturbante del doppio: una esperienza di morte e
di perdita di sé che però poteva portare a un ritorno a sé,
a un arricchimento causato proprio dall'essere stati fuori-di-sé,
in una specie di esilio nell'altro-da-sé. Ma se vi sono tanti doppi,
infiniti doppi, va a finire che non vi è nessun sé a cui
ritornare, arricchiti; il sé si sdoppia all'infinito finché
non si perde nell'infinità perturbante dei suoi cloni; così
l'oggetto, vero specchio nello specchio, realizza quel delirio dell'infinita
riproducibilità che fa smarrire l'esperienza dell'"aura delle cose" 3:
l'aura era infatti legata all'autenticità dell'oggetto riprodotto,
ma laddove l'oggetto è per essenza riproducibile e sdoppiabile,
non c'è autenticità possibile ed è ozioso chiedersi
quale sia l'originale. La produzione in serie degli oggetti oltre a moltiplicarne
le presenze provvede a introdurre in ogni "clone" dei minimi e inessenziali
elementi differenziali che operano pseudo-restituzione di soggettività.
Non si tratta allora del problema di scoprire quale sia l'oggetto falso
e quale l'autentico, né di denunciare l'effetto di massificazione
tipico della catena di montaggio e della produzione in serie (di cui era
emblema la Ford modello T che poteva essere prodotta "in qualsiasi colore,
purché nero"). Alla paura della massificazione il postfordismo e
la pseudo-individualizzazione tipica della nuova declinazione del modo
di produzione capitalistico sostituiscono l'apparente restituzione di soggettività,
tramite l'accentuazione di minimi caratteri differenziali. Gli oggetti
saranno allora tutti uguali ma esibiranno innumerevoli differenze specifiche
ed irrilevanti, utili però a cullare il soggetto nell'illusione
di avere trovato il suo proprio oggetto. Un'analisi dei messaggi pubblicitari
costituisce una prova di questa dinamica: da un lato si cerca di vendere
il tuo sapone, il tuo canale televisivo; dall'altro si diversifica l'oggetto
(il colore del frontalino del cellulare; il tipo di essenze contenuto nel
sapone; il numero delle righine rosse sulla leva del cambio dell'auto)
e il messaggio pubblicitario punta quasi esclusivamente su questa pseudo-diversificazione.
L'abitudine alla clonazione degli oggetti rende difficile la scelta
della sobrietà che può essere presentata ai giovani come
reale esperienza dell'oggetto mio, ovvero percezione di quell'unicità
dell'oggetto che ci consente l'investimento affettivo ed emotivo sulle
cose del mondo materiale e per così dire l'umanizzazione dell'oggettualità.
L'oggetto mio è unico e non riproducibile, perché è
la riscoperta del mio senso nell'oggetto; un senso che è il rispecchiamento
di ciò che io ci ho fatto, che io ci ho trovato, che io ho subito
dall'oggetto. Per questo nelle nostre scuole ci sono troppe cose, si studiano
troppe cose, si spreca troppo. Una sobrietà pedagogica passa attraverso
la riscoperta di quei pochi oggetti (in senso sia materiale sia spirituale:
la IX di Beethoven è un oggetto) che permettono di scrivere la mia
autobiografia oggettuale. Al potere decisionale dell'oggetto, che decide
su di me, si affianca cosi il potere sull'oggetto, che non è un
potere annichilente ma un potere di scelta. I giovani devono essere guidati
alla critica nei confronti degli oggetti, a una loro classificazione, a
scegliere l'oggetto migliore non solo perché funzionale ma perché
mio e solo mio, nostro e solo nostro in quello specifico momento.
Oggetti senza storia
Se gli oggetti sono tutti uguali non hanno più una storia, e gli elementi differenziali introdotti in essi per poterli vendere sono altrettanto astorici in quanto non restituiscono all'oggetto quella dimensione di autenticità che ha smarrito nell'era della riproducibilità. Ma se quell'oggetto è il mio perché mi narra una storia mia, se è il nostro perché noi ci abbiamo lavorato o giocato, se è il vostro perché è deposito di una memoria che io/noi non conosciamo ma che attraverso esso voi potete narrarci, allora l'unicità dell'oggetto riverbera sull'unicità del soggetto. Scuole arredate con meno cose, ma con cose scelte dai ragazzi e portate dalle loro case; meno poesie da studiare ma quella specifica poesia da imparare e sulla quale piegarsi per estrarne il mio senso, il senso del poeta, il senso per noi; cartelle scolastiche e zaini scout meno rigonfi ma con quei due o tre oggetti la cui perdita mi causerebbe dispiacere e smarrimento; sono strategie per liberare il deposito di senso che è bloccato nell'oggetto, riscoprire i "propri" oggetti, le "proprie" cose, quelle che parlano a me e soltanto a me, a noi e soltanto a noi: strategie per sentirci nemici delle cose, a loro soggetti e di loro soggetti, ma non più dominati e dominatori. Circondati da poche cose ma davvero nostre; e forse di cose che ci sentono, anch'esse, un po' più "loro".
Note
1) Definiamo pedagogia della resistenza una
nuova opzione di ricerca e intervento n campo educativo. Il Gruppo d pedagogia
della resistenza, nato nel 2002 attorno a la cattedra di Pedagogia Interculturale
e della Cooperazione Internazionale della Facoltà di Scienze della
Formazione dell'Università di Milano Bicocca (Dr. Raffaele Mantegazza),
propone lo studio e lo sviluppo di una pedagogia che abbia come suo scopo
essenziale la formazione di soggetti resistenti ne confronti di ogni tipo
dominio, a partire da una rilettura pedagogica delle esperienze di resistenza
proprie di coloro che si sono opposti al totalitarismo ed allo sterminio.
Le strutture e i dispositivi educativi vengono indagati sia per quello
che riguarda il loro potenziale di condizionamento e di espropriazione
nei confronti dei soggetti sia del loro potenziale di emancipazione e di
liberazione degli uomini e delle donne. Il Gruppo lavora sia sul versante
teoretico che su quello di una implementazione pratica degli assunti della
pedagogia de a resistenza, a livello di interventi di formazione con insegnanti,
studenti, gruppi informali etc.
Per informazioni: raffaele.mantegazza@unimib.it
ritorna
2) Michele Serra, Walter, in Il nuovo che avanza, Milano,
Feltrinelli, 1991, pag. 73 ritorna
3) Cfr Walter Benjamin, L'opera d'arte...,. citritorna
Questo articolo é apparso in
Conflitti
rivista italiana di
ricerca e formazione psicopedagogica
2003,
anno 2, n° 1
edita dal
centro psicopedagogico per
la pace
di Piacenza
Viene qui riprodotto
per gentile concessione del suo autore.
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