Tra la fine degli anni 70 e la prima metà degli anni 80, come
tutte le società democratiche a capitalismo avanzato, il
Ticino approda a postulare la necessità di focalizzare gli
interventi atti a combattere il disadattamento scolastico all'
interno del processo stesso d' insegnamento.In questo contesto, le
scelte concretamente operate, riguardanti la scuola elementare, s'
articolano su tre diversi livelli:
1- passaggio dalla scuola dell' infanzia alla scuola
elementare
Alla fine degli anni 70, conseguentemente all' inizio del dibattito,
tutt' ora in corso, sugli "anni cerniera", l' allora Scuola Materna
finì per qualificarsi come "terreno decisionale" in vista del
passaggio alla S. E. In questo contesto venne espressa la
necessità d' un' indagine sistematica, sullo sviluppo globale
e sulle capacità strumentali dei bambini del terzo livello,
capace di permettere una selezione in entrata degli allievi per i
quali fosse possibile anticipare difficoltà d' adattamento
alla S. E. A questo scopo fu messo a punto un procedimento di rinvio
che coinvolge le docenti (griglia d' osservazione per il terzo
livello), il SSP (esame di maturità scolastica), gli ispettori
dei due ordini di scuola e i genitori (procedura decisionale).
Questa prassi, in vigore nella sua forma definitiva dall' anno
scolastico 85-86, si é tradotta in un aumento progressivo del
numero dei ritenuti, che passa dal 6 % del 1983 al 10 % attuale
(1990). Questo aumento non ha però prodotto un
ridimensionamento corrispondente del numero delle "non promozioni", a
livello della prima classe elementare, il qua-le da oltre un decennio
s' aggira attorno al 2-3%.
2- istituzionalizzazione del Servizio di Sostegno Pedagogico
(SSP)
Nel 1979-80 iniziò la sperimentazione, in due
circondari di S.E. e Materna e in undici sedi di S. Me., del SSP: l'
organo prioritariamente designato ad occuparsi del disadattamento
scolastico. Alla sperimentazione fece seguito una fase di
generalizzazione progressiva che terminò nell' anno 88-89.
Nel momento in cui raggiunge la sua massima espansione, l' opera del
SSP interessa il 6,8 % dei bambini della Scuola dell' infanzia e il
12,6 % dei bambini della scuola elementare. Neppure in questo caso si
registrano ripercussioni rilevanti sulle percentuali dei bambini "non
promossi" che, per quanto riguarda il complesso della scuola
elementare, oscillano, da oltre un decennio, su indici dell' 1-2
%.
Attualmente l' SSP della S. dell' infanzia e della S.E. é
costituito da nove gruppi d' operatori, uno per ogni circondario,
così composti: 1 capogruppo (psicopedagogista), 2-3
logopedisti, 1 psicomotricista, 7-12 docenti di sostegno. Nell' 88-89
questo personale s' occupò prevalentemente, nella S. dell'
infanzia, di problemi logopedici (il 74 %) e nella S.E. di problemi
d' apprendimento scolastici (il 76,8 %). Al livello della S.E. le
segnalazioni provenirono dai docenti titolari per il 79,3 % e
attivarono prioritariamente un tipo d' intervento diretto (l' 85 %)
centrato sul programma scolastico dell' anno (75 %).
3- nuovi programmi
Nei nuovi programmi della S.E., approvati il 22 maggio 84,
il problema del disadattamento scolastico é mediato dal
ricorso a concetti quali: differenziazione e individualizzazione
dell' insegnamento.
A sette anni di distanza dall' emanazione di questi principi il
tragitto percorso é difficilmente quantificabile, anche
perché, per quanto ne sappiamo, manca qualsiasi ricerca
sistematica in merito.
L' investimento reale dello Stato in questo settore non é
però paragonabile all' investimento attuato nel SSP. Di fatto
la differenziazione e l' individualizzazione dell' insegnamento sono
state demandate, in massima parte, alla buona volontà dei
singoli docenti, senza tener conto né delle loro competenze,
né delle loro reazioni.
Un indice significativo di questa impostazione é
rintracciabile nell' "Indagine sui bisogni d' aggiornamento dei
docenti di S.E." promossa dal DPE nel 1987. Da questa emerge come l'
87 % degli 847 docenti allora intervistati esprimesse un bisogno d'
aggiornamento nelle scienze dell' educazione e come, fra questi, una
forte percentuale facesse esplicito riferimento, per quanto attiene
alle metodologie generali, all' insegnamento differenziato. A questa
richiesta l' unica risposta concreta ch' é stata sin' ora data
sono i regolari corsi d' aggiornamento promossi dalla Scuola
Magistrale (cinque corsi tutti con una partecipazione superiore al
massimo prefissato e con un totale complessivo inferiore ai 100
iscritti).
Alcuni strumenti, sicuramente utili all' attuazione d' un
insegnamento differenziato, come le indagini sulle conoscenze in
entrata dei bambini di prima elementare, sia per quanto attiene il
linguaggio scritto che la numerazione, promosse dall' UIP,
rispettivamente nell' 87 e nell' 88, non appaiono di per sè
sufficienti, in quanto non affiancati da una formazione permanente,
capillare e strutturata, capace di mettere i docenti in grado d'
operare concretamente a partire dai dati raccolti.
Da quanto riportato possiamo trarre una prima conclusione: nonostante
che il Ticino, nella lotta contro il disadattamento scolastico, abbia
approntato strumenti diversi, di fatto ne privilegia alcuni a
discapito di altri. Perché?
Prima di rispondere ci sembra opportuno riportare alcuni dati.
|
|
|||
svizzeri |
stranieri |
svizzeri |
stranieri |
|
S.dell' I. |
76,8 % |
23,2 % |
72,4 % |
27,6 % |
S.E. |
75,5 % |
24,5 % |
61,2 % |
38,8 % |
S.Me |
73,9 % |
26,1 % |
59,4 % |
40,6 % |
|
|
|||||||
non clas. |
basso |
medio |
alto |
non clas. |
basso |
medio |
alto |
|
S. dell' I. |
4,7 % |
41,7 % |
43,2 % |
10,4 % |
1 % |
40,1 % |
51,2 % |
7,6 % |
S.E. |
3 % |
42,9 % |
45 % |
9,1 % |
2,6 % |
58,5 % |
33,1 % |
5,8 % |
S. Me |
4,6 % |
43,1 % |
44,2 % |
8,1 % |
2,9 % |
63,2 % |
30,6 % |
3,3 % |
Da questi dati emerge come i bambini stranieri e quelli appartenenti
al livello socio-culturale basso siano sovrarappresentati, nel SSP
rispetto la popolazione totale, e come il fenomeno aumenti man mano
che si procede nella scolarità (realtà del deficit
cumulativo).
Al SSP il merito d' aver reso trasparente questi dati: il
disadattamento si manifesta quantitativamente come problema sociale e
la scuola appare incapace d' opporvisi validamente.
Perché?
I mezzi d' intervento privilegiati (selezione in entrata e SSP)
tendono ad interpretare questo fenomeno con categorie epistemiche,
relative alla dinamica cognitiva, di tipo intrapsichico. Ciò
equivale a ridurre quello che é un fenomeno socio-cognitivo a
una costruzione unicamente interna all' individuo.
Trattare il disadattamento attraverso la selezione in entrata e il
SSP equivale a privilegiare la presa a carico individuale dei
soggetti in difficoltà (anche i bambini trattenuti
usufruiscono infatti di nascenti strutture orientate in questa
direzione - "gruppetti di stimolazione" e presenza sperimentale di un
operatore SSP all' interno della Scuola dell' Infanzia) e quindi ad
abbracciare un' impostazione pedagogica di tipo compensatorio che
assomma ad uno scopo dichiarato (la lotta contro il disadattamento)
l' obiettivo non dichiarato della salvaguardia del sistema scolastico
nella sua forma attuale.
Da una parte si ha quindi un sistema scolastico che come tale non
é in discussione e dall' altra degli utenti più o meno
adatti ad usufruire di questo servizio. In quest' ottica é
quindi logico intervenire operando sul soggetto per assicurarsi che
le caratteristiche dello stesso rispondano alle esigenze del sistema.
E' questo un luogo tipico delle dinamiche di acculturazione tese a
risolvere in modo unilaterale il conflitto fra culture o
sub-culture.
Trattare il disadattamento come fenomeno sociale significherebbe
invece promuovere un tipo di spiegazione secondo cui esso é
frutto non d' una mancanza, ma semplicemente dell' ineguale distanza
fra utenti e cultura scolastica.
In questo caso la responsabilità del disadattamento ricadrebbe
sul principio dell' uguaglianza formale fra gli individui, derivato
dalle filosofie liberiste, a cui ubbidisce tutto il sistema
scolastico, il quale finisce per favorire i favoriti e per sfavorire
gli sfavoriti semplicemente ignorando nei contenuti dell' educazione,
nelle tecniche di trasmissione e nei criteri di giudizio, le
diversità socio-cognitive esistenti fra gli utenti della
scuola (concetto dell' "indifferenza alle differenze").
La differenziazione dell' insegnamento a cui si richiamano i nuovi
programmi dovrebbe appartenere a quest' ordine d' idee, sempre che
non ci si riferisca unicamente a modelli di stampo neo-behaviorista
(pedagogia della padronanza classica): essa infatti esige che,
attraverso la pratica della valutazione formativa e dell'
insegnamento individualizzato, sia la scuola ad adattarsi al bambino
e non viceversa.
Questo approccio ha però delle precise conseguenze sul piano
ideologico e politico che chiariscono i motivi per cui l'
investimento dello Stato in questo settore resti di fatto
marginale.
Privilegiare realmente la via della differenziazione significherebbe
infatti accentrare le tensioni di un fenomeno, riconosciuto come
problema socio-cognitvo, sulla scuola stessa, costringendola ad un
ripensamento integrale dell' organizzazione del tempo scolastico, dei
programmi, delle valutazioni e dei metodi d' insegnamento, al fine di
promuovere una trasformazione atta ad assicurare mezzi di formazione
corrispondenti alle caratteristiche dei propri utenti.
Valutare i fenomeni considerati, attraverso categorie
psico-pedagogiche, é una conquista presente. Introdurre
dimensioni socio-economiche ed antropologiche (vedi studi sulle
dinamiche dell' acculturazione), é necessariamente lo sforzo
che deve imporsi nel prossimo futuro.
Da questo punto di vista diventerebbe inaccettabile la supremazia
dell' individuale sul sociale, dettata da una filosofia liberale oggi
imperante che vede nell' individuo il fautore unico del proprio
destino. In quest' ordine d' idee la realizzazione d' asili nido
statali e privati (presso i posti di lavoro), una reale protezione
della maternità, un' adeguata politica dell' alloggio e del
tempo libero (dei bambini) sarebbero altrettante risposte, forse
indirette, ma essenziali, al problema del disadattamento
scolastico.
L' attuale politica scolastica ticinese produce, sul piano pratico,
almeno due effetti:
in primo luogo la presa a carico individuale del bambino in
difficoltà, da parte del SSP, attraverso il meccanismo della
"delega" provoca la mancata assunzione, da parte dei docenti
titolari, del problema sociale di cui quel bambino non é che
un sintomo. La pressione dal basso ad una modifica strutturale dell'
istituzione perde, in questo modo, la sua giustificazione più
significativa;
in secondo luogo l' operatore SSP, costretto a "trattare" il "sintomo
bambino" al di fuori del contesto classe in cui questo si é
manifestato, tende ad accentrarsi prevalentemente sulla dimensione
del cognitivo. L' approccio "tecnocratico" che ne consegue, e che
già si sta manifestando, non può che produrre una
perdita proporzionale della dimensione socio-culturale che aveva
generato il sintomo.
Ma allora a chi serve il SSP?
Sicuramente al sistema scolastico in quanto permette d' allentare le
tensioni che altrimenti si accentrerebbero su di esso. Se ai docenti
titolari non si desse la possibilità di togliere virtualmente
dalla classe il bambino in difficoltà , e quindi di continuare
ad insegnare come se si rivolgessero ad un gruppo omogeneo, questi si
troverebbero nell' impossibilità di gestire l' ansia che ne
deriva.
Altrettanto sicuramente al bambino in difficoltà, che
generalmente trae un certo beneficio sia diretto (d' ordine
affettivo, cognitivo, performativo, ecc...) dal rapporto individuale
con l' operatore del SSP, sia indiretto dal ruolo di mediazione che
questi assume rapportandosi all' istituzione scuola e all'
istituzione famiglia.
In questa situazione che ne sarà del problema del
disadattamento scolastico? E' possibile una lotta efficace allo
stesso che ponga l' assunzione del suo aspetto sociale in secondo
piano?
La giovane età dell' attuale politica scolastica ticinese non
ci permette oggi di trarre conclusioni definitive sulla sua
efficacia. Bisognerà attendere di poter raccogliere alcuni
indici classici, quali quelli relativi all' analfabetismo di ritorno,
al para-analfabetismo e alla ridistribuzione delle opportunità
d' istruzione e di formazione, in altre parole alla mobilità
sociale.
Forse solo allora ci sarà concretamente data l'
opportunità di realizzare un insegnamento realmente
differenziato, agganciato ad una formazione idonea e continua, all'
interno di una struttura scolastica integralmente ripensata sia dal
punto di vista degli effettivi delle classi e del carico dei
programmi, che da quello della suddivisione della stessa in
gradi.
Il SSP potrà allora accedere a quel ruolo nuovo d' animatore
della differenziazione che alcuni suoi membri già intravvedono
come necessario e che esige un cambiamento di statuto capace di
concepire la priorità del sostegno indiretto su quello diretto
e quindi del sociale sull' individuale.
Galli Giovanni,Giovanni Galli, psicologo FSP, ASPEA,
psico-pedagogista,
Miotto Altomare Gianna, docente in scienze dell'educazione, scuola
Magistrale di Locarno
RIFERIMENTI STATISTICI
- DPE, Considerazioni relative alla griglia d' osservazione per il
bambino dell' ultimo anno di S.
Materna, Bellinzona, marzo 1983
- DPE, Dati relativi ai bambini in età scolastica (nati nel
1980) ma trattenuti alla S. Materna per
ragioni diverse, Bellinzona ottobre 1986
- DPE, dati statistici relativi al settore pre-scolatico anno
scolastico 90-91, Bellinzona, novembre
1990
- DPE, Analisi delle competenze spontanee nel campo della numerazione
al termine della S
materna, Bellinzona, dicembre 1988
- USR, Dati statistici relativi agli allievi seguiti dai SSP,
Bellinzona, maggio 1990
- USR, Statistica degli allievi fine anno 1988-89, Bellinzona,
dicembre 1989
- USR, Indagine sui bisogni d' aggiornamento dei docenti di S.E.,
Bellinzona, giugno 1987
home page Giovanni Galli |
indice articoli Giovanni Galli |