CALICANTO, appunti di antropologia e etnografia dell'educazione e della dominazionenumero 0"REALISMI?" |
indice Calicanto
Che
la sparizione artistica nei bambini
corrisponda con la
scolarizzazione
é certo: ma diciamo che soprattutto vi
influisce
la presa di coscienza
del mondo e il progressivo inserimento in
un contesto sociale"
2. Esterno-interno
PREMESSA
Le righe che seguono desiderano tradurre un desiderio: quello di un
percorso di ricerca. Come percorso si basa su ipotesi di lavoro che
devono essere considerate sotto una duplice ottica:
- quella della realtà del disegno come veicolo
di espressione-narrazione del mondo e di Sé; quindi come
strumento di conoscenza e di relazione
a sapere
dunque quanto la presenza del segno é un segno di presenza,
una traccia di Sé;
- quella del suo spazio istituzionale, ovverosia della reale
utilizzazione del disegno nella scuola odierna. Ed evidentemente,
tramite le scienze dell'educazione, come strumento d'intervento,
educativo o d'investigazione.
Due questioni che sono poi parte di un fenomeno comunque unico nella
sua realtà quotidiana; non foss'altro perché lo spazio
istituzionale come spazio comunitario, come spazio mentale, come
comunità di intenti, realizza una sua propria
Weltanschaung, che del - e nel - disegno ha le sue proprie
prassi.
Parleremo quindi di scuola, di disegno, di bambini, di apprendimento
e di allineamento (appiattimento) nell'apprendimento, di implosione
dei processi creativi e di narcosi del segno.
Effettivamente se il disegno é considerato facilmente e
sicuramente come uno strumento molto potente - sia per lo sviluppo
del bambino (ma preferisco parlare di soggetto, liberandolo dalla sua
età), sia per la sua conoscenza - male però si riesce a
capire, o difficilmente si riesce a capire, come utilizzarlo o come
é utilizzato realmente nella scuola. Ma si può anche
aggiungere che altrettanto male si riesce ad utilizzarlo
strumentalmente proprio a quegli elementi che, idealmente, gli
conferiscono la sua potenza.
Al disegno viene così accordato uno spazio tanto mutevole
nelle sue applicazioni e realizzazioni quanto divergente nelle sue
accezioni, e ciò non solo nello spazio accordatogli a
scuola.
1. Sostantività procedurale e operatività
sostantiva
Si può osservare la strada stando dietro il vetro
della finestra: i rumori ne vengono attutiti, i movimenti
diventano fantomatici e la strada stessa appare, attraverso
il vetro trasparente, ma saldo e duro, come una
entità separata, che pulsi in un «al di
là».
Oppure si apre la porta: si esce dall'isolamento, ci si
immerge in questa entità, vi si diventa attivi e si
partecipa a questo pulsare della vita con tutti i propri
sensi. Le altezze e i ritmi dei suoni in continuo mutamento
avvolgono gli uomini, salgono turbinosamente e cadono
all'improvviso paralizzati. (
)
L'opera d'arte si rispecchia sulla
superficie della coscienza. Essa sta al di là e si
dilegua dalla superficie, senza lasciare traccia, appena
scomparso lo stimolo. Anche in questo caso c'é una
specie di vetro trasparente, ma saldo e duro, che rende
impossibile il diretto rapporto interno. Anche qui abbiamo
la possibilità di entrare nell'opera, di divenirne
parte attiva e di vivere con tutti i sensi la sua pulsazione
3.
Alla richiesta di Pigmalione - quella di dargli una donna tale e
quale e bella come quella che aveva appena terminato di scolpire nel
marmo - Venere diede vita al marmo (Ovidio).
Questo il mito e la seduzione della creazione
Ma la statua di Pigmalione ci parla di un piacere e di un desiderio.
Del piacere e del desiderio di Pigmalione di creare, appunto, quella
statua: ma nulla sappiamo di quella donna, fredda come il marmo,
datagli da Venere. Questa é l'illusione della riproduzione
fedele così ben testimoniata nella storia dell'arte (cfr. a
questo proposito Gombrich, E.H., Arte e illusione, Torino: Einaudi,
1965).
E' piuttosto l'atto creativo che vogliamo investigare, non tanto il
suo prodotto (che sarà semmai valutato dal pubblico di
osservatori e critici, ma anche dal pubblico di lettori per quanto
riguarda un altro campo del segno quale quello della scrittura),
l'atto che si situa a cavallo tra la ri-creazione - piacere e
la ri-creazione - tecnica. Ecco
, l'ontogenesi del
rapporto tra sviluppo tecnico e crescita emotiva e identitaria del
soggetto, tra espressione e realizzazione dei bisogni, potrebbe
essere un obiettivo di ricerca.
Ma ciò che ci interessa adesso é, attraverso il
disegno, il ricupero del soggetto, perché il disegno, nel suo
farsi, ci dice e ci parla dell'espressione di sé e delle (sue)
concezioni del mondo
Allora dobbiamo rammentarci ciò che non avrebbe bisogno di
essere espresso: il bambino non é solo un allievo. Ciò
significa che non é solamente un bravo (modesto, pessimo)
esecutore di algoritmi, un bravo (modesto, pessimo) risolutore di
problemi o un bravo (modesto, pessimo) redattore di testi o
lettore.
Queste, del bambino, corrispondono piuttosto ad alcune sue
capacità.
Queste capacità si situano piuttosto sul versante dei mezzi
per costruire o scoprire dei significati.
Queste capacità sono evidentemente fondamentali e strumenti
fenomenali per esprimere significati; tanto che se un bambino
é deprivato linguisticamente (per esempio leso profondamente
nella competenza semantica) difficilmente arriva a esprimere i suoi
bisogni (e capiamo come possano crescere le sue frustrazioni a questo
riguardo e come possano essere limitate le sue esperienze quando
manca questo tipo di bagaglio personale, in un processo di
cortocircuitazione, o di circolarità - ma dagli effetti
nefasti - tra frustrazione e incapacità ad esprimersi).
L'apprendimento di queste capacità si
situa certamente sul piano dei "significanti"
4.
Questi in effetti sono altrettanti irrinunciabili obiettivi di base
dell'insegnamento.
Ma se i significati sono importanti, (come lo sono) dobbiamo
scoprirli, o costruirli, inventarli, stimolarli, o dir che si
voglia.
In questo senso ci muoveremo, allora, piuttosto sul piano dei
contenuti della conoscenza e delle rappresentazioni del mondo
rispetto all'acquisizione degli strumenti della conoscenza. Ci
muoveremo quindi piuttosto su un piano dell'espressione e
dell'investimento soggettivo delle conoscenze, piuttosto che quello
delle tecniche
Come le due rotaie sulle quali corrono i treni, questi elementi non
sono separabili.
Le esigenze dell'insegnamento determinano però la predilezione
di una rotaia rispetto l'altra;
e vale la pena non limitarci
unicamente a una progressione sul binario dei programmi (così
come sono bene descritti nei "Programmi della scuola elementare"
nella loro progressione dalla prima alla quinta elementare, per
quanto concerne la lingua italiana e la matematica).
Piuttosto scopriremo come l'alternanza da una
rotaia all'altra, dal piano espressivo, comunicativo, della
soggettività ecc
, a quello dell'affinamento e
apprendimento di sempre nuovi e migliori strumenti, serve da
trampolino per nuovi traguardi
5.
Questo ci dimostra una cosa importante. Distogliere l'attenzione
(magari tutta, in certi casi) rivolta all'operatività, dare
spazio ai segni, al simbolo, alle storie personali, alle visioni
soggettive, al desiderio, innaffiano la scuola di messaggi, magari
moltiplicando le situazioni dove il soggetto possa infine dar corpo
alle (reificare la) proprie motivazioni.
A conclusione di queste prime riflessioni - questa entrata in materia
- appare allora un primo filone di ricerca. Un primo canovaccio che
sorge direttamente dall'interrogazione attorno alle finalità
dell'insegnare (e dell'apprendere). Queste prime riflessioni trovano
una veste più specifica - meno generale e/o descrittiva -
attorno ai concetti di episteme, soggetto,
apprendimento/insegnamento, didattica. Quali le loro relazioni, o
i significati, le finalità che si prefiggono e si perseguono
dando il primato ai saperi procedurali. Qual'è il posto del
soggetto in questa egemonia del tecnico esecutivo? Ci si può
occupare del bambino e dell'apprendimento sotto un approccio
unicamente "epistemico", vale a dire con un intervento tutto teso
all'apprendimento degli strumenti del conoscere, quali sono il
leggere e lo scrivere, il calcolare,
affrontandone i sussulti, le accelerazioni e rallentamenti unicamente
tramite un intervento funzionale
6?
Oppure, per far questo, dobbiamo preoccuparci del bambino, quindi
ascoltare le sue parole, favorire sue esperienze e comunicazioni (ma
eserienze e comunicazioni reali), quindi grazie
a questo e per questo, nutrire l'episteme
7?
Questa domanda ci rinvia al luogo stesso dell'insegnamento (inteso
come insegnamento reale) affinché l'apprendimento degli
strumenti del conoscere non diventi assolutamente contraddittorio
allo sviluppo sociale, affettivo e culturale, dell'allievo;
affinché non diventi l'unico vettore investito, investito
così tanto che l'apprendimento degli strumenti del conoscere
diventi concorrente (magari per una sola semplice mancanza di tempo)
allo sviluppo e alla liberazione delle identità soggettive
Ma torniamo al disegno.
2. Il "realismo metrico" e l'"idealismo romantico"
Purtroppo una serie di incongruenze concorrono a male definire gli
spazi del disegno tanto che il disegno viene considerato con
cliché anacronistici, romantici o idealizzati.
Da un lato scopriamo che il disegno del bambino é considerato
sotto un punto di vista "metrico", vale a dire: quanto questo
può essere vicino alle realizzazioni dell'adulto (le tappe del
realismo non sono allora nient'altro che un
avvicinamento realistico all'oggetto - la copia, appunto il realismo
artistico
8). In quest'ordine di idee il
suo farsi é allora pre-logico, é tappa, é
stadio, ecc
Tutto ciò comporta a considerare il disegno come qualcosa che
deve svilupparsi (ma verso dove? per cosa?), che deve essere
raffinato (il disegno viene insegnato, ma come?), secondo un destino
quasi teleologico;
Conseguentemente il suo spazio viene troppo sovente ritagliato
unicamente nell'apprendimento dello strumento. Così il bambino
dovrà imparare a disegnare sempre meglio
Non é per niente un mistero che per taluni, dominati da un
paradigma psico-genetico, l'insegnamento delle arti visive non
é nient'altro che la rincorsa alle tappe evolutive (che queste
siano del realismo o altro poco ci importa), con lo scopo delle
riproduzioni sempre più fedeli di un modello
"Quelle qu'ait été sa capacité d'assimilation,
la culture occidentale a longtemps persisté à tenir
à l'écart trois formes d'expression autonomes (qu'on
sourit aujourd'hui de voir associées, tant elles sont
différentes): celles des enfants, des «fous» et des
«primitifs» (
). En définitive, le seul trait
commun des expressions ainsi désignées est d'avoir
été réunies dans le même ghetto, sous une
même imputation de «mentalité
prélogique» formulée conjointement par des
ethnologues (Levy-Bruhl), des psychologues de l'enfance (Jean Piaget)
et des psychiatres (presque tous) (
) Ainsi, on à
longtemps tenu les graffiti enfantins, pour des ébauches
encore maladroites, erronées ou fortuitement réussies,
en les évaluant en tout cas par rapport à la seule
représentation jugée correcte: celle qui
obéissait aux canons académiques. Il est symptomatique
que les premiers dessins qui ont été juges dignes
d'être conservés et étudiés, à la
fin du XIX' siècle, aient eu pour auteurs des «enfants
prodiges», qui, à huit ou dix ans, dessinaient
déjà comme des adultes. La voie avait pourtant
été ouverte par les initiateurs d'une pédagogie
nouvelle, notamment Jean-Jacques Rousseau et Pestalozzi, qui ont
envisagé la mentalité des enfants non plus comme une
esquisse encore informe de l'esprit adulte, mais comme un univers
ayant sa structure propre. Par la suite, les travaux des
psychanalystes et des psychologues de l'enfance comme Freud, Melania
Klein, Wallon ou Piaget, ont permis de différencier des stades
dans le développement mental des premières
années de l'individu. On s'est aperçu que, à
chacun de ces stades correspondait un
système de figuration spécifique. Encore y a-t-on vu
des étapes préparant un accomplissement final. La
perspective restait adulto-centrique
9".
Da un altro lato il realismo, che sia fortuito, mancato, visivo o
intellettivo, viene considerato come creatività. Ogni immagine
che più si discosterà dai nostri modi adulti di
disegnare verrà considerata come intenzionale, e creativa,
piuttosto che un percorso obbligato, condizionato da un livello
stadiale determinato (come per esempio il realismo visivo o
intellettivo). Si cade allora nella idealizzazione e nella
normalizzazione.
"Certes, les préjugés paraissent aujourd'hui
s'inverser. On passe d'une interprétation en termes de
déficit a une idéalisation. Les ateliers d'art enfantin
et les expositions du type «L'enfant créateur» se
multiplient, ce qui engendre paradoxalement une
«normalisation» de plus en plus précoce de
l'expression graphique. En effet, depuis quelques décennies,
les enfants deviennent singulièrement sensibles à la
valeur que les adultes attachent à leurs productions. Ils
apprennent à déclencher les applaudissements. Des lors,
faut-il s'étonner que les dessins enfantins, comparés a
ceux d'il y a un demi-siècle, accusent une sorte
d'académisme spécifique, agissant même de plus en
plus tôt? Faut-il parler d'angélisme ou de singerie?
C'es deux notions sont solidaires. Car le pouvoir créateur
qu'on attribue de plus en plus laudativement à l'enfant tend
par le fait à se réduire au
mythe projectif construit par l'adulte comme contrepartie à sa
propre stérilité. L'expression enfantine est en voie
d'aliénation total à ce mythe
10".
3. L'acqua gorgoglia, l'uomo segna
Il disegno, come sistema di segni, non é meno importante del
linguaggio. Anzi, con esso é presente in tutta l'ontogenesi,
ed é uno dei prodotti verificabili, tangibili, la prova
materiale dello sviluppo della funzione rappresentativa, e della
formazione dell'Io.
Troviamo questa massiccia presenza pure nella filogenesi. I primi
segni ritrovati sono incisioni rupestri, pitture, graffi o graffiti.
Anzi, esso lascia segni ancor prima della parola scritta. La sua
antichità si perde nell'alba dell'uomo
Ciò malgrado, come sistema di segni, soggettivamente, perde
d'importanza man mano che il bambino cresce; é ben conosciuto
il decadimento emotivo per il disegno, e ciò man mano che il
ragazzo raggiunge nuovi traguardi nel realismo.
Ma perde anche d'importanza come funzione
sociale, anche se la nostra realtà culturale impone
massicciamente l'immagine come veicolo pubblicitario
11.
Nella scuola, addirittura, arrischia quotidianamente di essere
relegato alla sfera del riposo: "quando hai finito l'esercizio puoi
fare un disegno", se non quello della
coercizione o del ricatto: "non puoi disegnare fino a che non hai
finito l'esercizio"
12.
Vuoi per esigenze di lavoro (mancanza di tempi sufficienti, di
itinerari percorribili) vuoi per "scelte" metodologiche, l'intervento
con l'allievo "prevarica" quello con il bambino. Il raggiungimento
degli obiettivi di padronanza, raggiungimento evidentemente
fondamentale per ogni alunno, rischia di comportare tempi sempre
più ristretti per quelli che sono bene o male considerati
degli svaghi (un riposo) iscritti nel limbo del superfluo. Quanto
più questi obiettivi si allontanano dalle potenzialità
dell'allievo tanto più si faranno sentire in tutto il loro
peso, carico di ansia e frustrazione
Allora il disegno, come già accennato, a scuola viene relegato
in condizioni di realizzazione precarie (quando il bambino é
stanco, quando ha finito qualcosa d'altro). Il disegno non diventa
allora che un passatempo! Una prima salace conclusione é la
seguente: certo il disegno é una "metafora della
motivazione".
Ma il desiderio del disegno equivale al desiderio della scrittura.
Nell'intenzione del soggetto almeno, non vi é una differenza
nel desiderio di lasciare una traccia personale. Allora scopriamo
che:
4. Perché
il realismo deve avere il sopravvento 15? "Se nel quadro della
società attuale non spetta al
surrealismo la parte, oggi inevitabilmente confusionaria,
dei maghi che crudelmente le fanno difetto (
) la sua
parola d'ordine fondamentale, liberazione incondizionata
dello spirito verso il meglio, non fa che dare, o restituire
un impulso morale e poetico a ciò che, nel corso di
tanti secoli, é stato l'auspicio della magia, il suo
segreto in vari modi confessato, sempre minacciato e mai
dissolto"
16.
Un sistema, un tempo, uno spazio di segni
Ma allora scopriamo che quella del disegno non é che una
metafora.
Metafora del segnare, del lasciare tracce del proprio
passaggio, dove le vesti del disegno raggiungono quelle della parola
scritta o orale; le possibilità residue del soggetto per
manifestare, esprimere, narrare la propria soggettività.
Ma anche metafora dell'insegnamento reale, del suo messaggio;
dell'economia sua. Quella della trasmissione di segni, di simboli o
messaggi; delle narrazioni della presenza del soggetto e dello spazio
accordato/occupato al/dal soggetto. Dello spazio ancora accordato al
segnare.
Qual'é allora il senso (il disegno) del sopravvento
del realismo?
Questo il senso vero dell'interrogazione: in questa doppia valenza
della metafora-disegno, possiamo accordarci per uno spazio dove il
soggetto possa narrarsi? e quale spazio deve essere?
Il discorso sul disegno, allora, oltre che essere un discorso legato
all'individuo, indossa le vesti della cultura. Ma allora come
leggere lo spazio del disegno - e del segnare - nelle sue
pratiche culturali (antropologiche) odierne? Vale la pena ancora
interrogarlo, nella relazione educativa e nel progetto d'istruzione,
nell'operare quotidiano dell'insegnamento? ricuperarlo, per esempio
per un fine preventivo, nell'operare quotidiano dell'operatore di
sostegno? E il disegno può essere ancora considerato alla pari
di una narrazione, se ha uno spazio così ridotto alla
riproduzione più o meno realistica (di un modello anche
astratto), all'idealizzazione e al consumismo?
5. Per concludere: tensioni
"Vaglielo a spiegare
(...) che quel ghirigoro che fai mentre parli al telefono, o
un qualunque scarabocchio automatico, sono più
carichi di fantasia di una retta, e rivelano stati d'animo
quanto le famose macchie del
Roschach"
17.
Ho considerato disegno e scuola nell'ecologia del suo progetto
educativo, che non é altro che lo specchio del suo rapporto
con la società. 4 almeno sono le dimensioni attorno alle
quali, e nelle quali, abbiamo gravitato. Varie sono le costellazioni
di domande che ne scaturiscono.
1) In genere le concezioni del disegno infantile sono scisse fra due
prospettive altrettanto parziali e portatrici di errori
(paradigmatici) che ne impediscono talvolta una lettura appropriata e
completa. Quella "romantica" considera il disegno come espressione di
una creatività pura, quella "realista" o "metrica" lo
considera solo sotto un punto di vista di copia e riproduzione del
reale (da qui tutta l'attenzione psicometrica, le tappe del realismo,
ecc
).
2) C'è una dicotomia fra la potenza euristica accordata dalla
rappresentazioni sociali del disegno e i suoi tempi e spazi di
realizzazione. In genere il disegno non é che raramente
collegato a uno specifico progetto (pedagogico, psicologico.
).
Piuttosto é lasciato fine a sé stesso, anche se si
trova nella dimensione dell'estetica, o addirittura confinato negli
spazi dell'esclusione ("quando hai finito potrai fare un disegno",
"fai un disegno che sei stanco", ecc
).
3) C'è una dicotomia tra conoscenze procedurali e conoscenze
testuali, come tra scienze del comportamento e scienze del testo.
Questa dicotomia pesa quotidianamente nel lavoro educativo. Il peso
tutto rivolto al prodotto,- che non è nient'altro che la
dimensione antropologica nella quale si muove la cultura occidentale
post moderna e post industriale - l'estrema attenzione rivolta alla
riuscita, alla funzionalità sono il sinonimo di uno squilibrio
che ci porta all'oblio del segno e del simbolo.
A) strumenti della conoscenza o rappresentazioni del mondo (contenuti della conoscenza)?
Partiamo dunque da questa premessa 18: nella tensione fra i due poli, l'intervento scolastico si esaurisce (energeticamente, metodologicamente, concettualmente, culturalmente) tutto sul lato strumentale.
Il primato degli strumenti del conoscere, rispetto le rappresentazioni del mondo, sovente é così massiccio da portare l'intervento pedagogico alla rimozione del bambino. In tal caso, da centro dell'insegnamento il bambino diventa semplice strumento dell'apprendimento da pianificare. La sua storia, le sue storie, in fondo, non hanno più molta importanza, se non per meglio predisporlo ad apprendere. Invece di avere l'insegnamento centrato sul bambino, abbiamo il bambino centrato sul insegnamento. Invece di parlare di bambino parliamo di programmi e di obiettivi appresi o mancati.
In questo processo di acculturazione cosa rappresenta il punto d'arrivo? L'accento dell'intervento pedagogico a cosa e chi mira?
E non dimentichiamolo! Le rappresentazioni sociali e convenzionali del mondo indossano sempre più una sola veste, la veste del Pensiero Unico, unidimesionale
B) disegno: scienza dei comportamenti o scienza dei testi?
Entrare nel dominio del disegno conduce rapidamente a una constatazione. Ad esso si ricollegano con altrettanti fili diretti i concetti seguenti: espressione, rappresentazione, visione e poi scrittura, progetto, finzione, simbolo, segno, immagine, narrazione, scenario e poi ancora immaginario e immaginazione
Come rappresentazione é luogo dei desideri, delle esperienze e conoscenze
Come progetto, programma di segni, si pone sperimentalmente nei confronti dell'opera finita ora come anticipazione, ora come verifica.
Come scenario é uno spazio, un microcosmo che simboleggia il mondo, uno spazio dove diviene visibile ciò che abitualmente non lo é. Sulla scena avviene qualcosa, qualcosa si dice.
Ecco Questi concetti sono lo stesso crocevia sul quale la scelta di privilegiare un paradigma piuttosto che un altro (per intenderci, quello comportamentale piuttosto che quello simbolico) non é neutra.
La questione si pone a partire dall'oblio del testo e del suo valore. Quando la scienza dei comportamenti fagocita la scienza dei testi? come avviene questo oblio che non é solo dato del individuo ma bensì antropologico? Quando l'attenzione al simbolo cade? quando viene perso il simbolo 19?
4) Generalmente si considera che l'interesse infantile per il disegno decade con la crescita. Ciò sarebbe osservabile nella progressiva perdita di creatività. Purtroppo questo disinteresse non viene sostituito da qualcosa d'altro. Il sottoscritto considera che il disinteresse evolutivo per il disegno diventa realmente disinteresse del segnare, dunque anche dello scrivere.
La capacità semiotica - la capacità di lasciare segni - rende possibili le storie, di qualsiasi tipo esse siano, le narrazioni, i testi ed anche anche i miti. Il disegno, potremmo dire il segnare, ha tanta più forza quanto più ha potere "mitopoietico".
Si può considerare che il decadimento emotivo per il disegno, così come osservato nell'evoluzione del disegnare dei ragazzi a scuola, é un decadimento emotivo per il segno? Ciò anche in considerazione del fatto che se tutti i cittadini sono alfabetizzati pochi leggono e scrivono realmente.
Ma allora questa "semio-tomia" nella quale é chiamato ad evolversi il soggetto può essere affrontata nella scuola? e come?
In questo contesto possiamo ancora considerare il disegno come una delle manifestazioni dell'Io? Oppure é l'Io contemporaneo ad essere diventato incapace di dare forza ai propri disegni? O, peggio, é nell'egemonia della sostantività procedurale propria all'antropologia occidentale (culturale, economica) che si assorbe tutto l'eros del soggetto?
Allora come leggere il disegno e il suo spazio nella cultura scolastica? Vale la pena ricuperarlo, per esempio per un fine preventivo, nell'operare quotidiano dell'operatore di sostegno?
Si può ancora parlare di disegno,
quando ad esso viene accordato uno spazio così ridotto - dalla
riproduzione più o meno realistica (di un modello anche
astratto), dall'idealizzazione e dal consumismo - che é forse
meglio definirlo, almeno nella scuola, come uno spazio della fedele
riproduzione?
Al di là della "naturale crescita" (le
tappe) - ma dovremmo ancora dissertare sulla natura/cultura del
crescere naturale - perché il disegno viene ancora associato
all'idea conservatrice della riproduzione della realtà, invece
che dell'espressione del magico 20?
Come ricuperare le sue parole, quali itinerari vogliamo e dobbiamo
intraprendere, tenendo conto che comunque siamo chiamati ad
intervenire in una scuola?
Di-segnare, in-segnare
Se l'insegnamento é tale, esso
é un"segnare in"; dare l'insegnamento, lasciare un segno,
l'insegnamento stesso ha un suo disegno.
Eccolo
un nodo fondamentale per l'operatore scolastico.
Quello del "disegno" é un terreno fertile.
Scuola, bambino, docente
il disegno manifestazione di uno
scenario? Ma allora se il disegno é uno scenario realizzato
dal bambino qual'é lo scenario istituzionale?
Locarno, agosto 1988
ringrazio Carlo Darani, per le preziose conversazioni.
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NOTE
1) Il concetto di
"realismo" é stato utilizzato da G.H. Luquet (op. cit.)
per indicare lo sviluppo del disegno nel bambino, in riferimento alle
tappe successive di riproduzione "fedele" del reale (realismo
fortuito, mancato, intellettivo, visivo). Così il disegno
é studiato sotto uno dei suoi aspetti: quello della maggiore o
minore precisione, fedeltà o supposto adattamento al modello
reale. E' dunque l'aspetto cognitivo-razionale che prevale in questo
tipo di valutazione; esso può essere utilizzato come metodo
diagnostico, nella valutazione della "maturità" del soggetto
ritorna al
testo .
2) Baj E., Ecologia dell'arte, Rizzoli, pag. 52 ritorna al testo .
3) Kandinsky V., Punto, linea, superficie, Adelphi, pagg. 7-8 ritorna al testo .
4) Per significanti intendo qui tutti gli apprendimenti (che siano aritmetici, come le 4 operazioni, o linguistici, come la capacità di leggere o scrivere). Questi apprendimenti devono o dovrebbero essere evidentemente rivolti ad altrettanti significati ritorna al testo .
5) Alla base di queste
note c'é un'ipotesi di squilibrio. E questo squilibrio si
manifesta in tutta la sua forza quanto più la scuola opta per
un suo investimento nel campo dell'operatività procedurale a
detrimento dell'operatività sostantiva.
E' questa una dimensione che rispecchia le mutazioni antropologiche
in corso nella cultura occidentale. Una mutazione epocale che investe
lo stesso funzionamento e lo stesso adattamento societario del
soggetto.
Funzionamento "normalmente operatorio" teso piuttosto ai saper fare,
alle procedure, alla produzione, alle metodologie, piuttosto che alla
costruzione di senso, di appartenenze (Cfr. a questo proposito:
Martignoni G., Normalità e funzionamento operatorio: "la
malattia mortale dell'adattamento", in: Galli G. (a cura di),
Intrecci, sentieri, nodi: cambiamenti alle soglie del 2000, atti del
10° anniversario AOSSP, Locarno: ed. AOSSP, 1997). "Anche qui vi
é un sintomatico isomorfismo tra scuola e società
operatoria che impone come detto una separazione netta tra vita
emozionale e sapere pragmatico. Il mondo emozionale sembra non
più servire all'adattamento societario e ai suoi bisogni
tecnologici, é solo disturbo
" ritorna
al testo .
6) Funzionale = che si
riferisce alla funzione di un organo.
Secondo un approccio di questo tipo, che comportata talvolta un
paradigma biologico (come lo é tutto il sottostrato
concettuale del modello piagetiano), un organo, per svilupparsi e
crescere, non ha bisogno d'altro che "funzionare". Non é che
il funzionamento, in altri termini possiamo dire l'allenamento, a
permettere lo sviluppo di un organo. Ciò é sicuramente
vero, senza allenamento non miglioriamo alcuna prestazione sportiva,
ma insufficiente. La realtà dei décalages (ancora
secondo il modello piagetiano) dimostra come altri elementi entrino
in gioco nello sviluppo e nell'apprendimento.
E nella scuola vediamo pur molti allievi che, malgrado massicce dosi
d'esercitazioni, non riescono ad acquisire un concetto, o nemmeno
degli algoritmi aritmetici
ritorna
al testo .
7) I termini di
"disadattamento" e di "apprendimento" non sono due sinonimi
intercambiabili. Piuttosto definiscono una relazione d'inclusione,
tanto che l'apprendimento può essere considerato come la fase
finale, risolutiva di un disadattamento. Specialmente considerando
l'età evolutiva l'apprendimento stesso é da
considerarsi come frutto di continui squilibri. Sono solo i nuovi
problemi a porre la necessità di modificare le risposte
abituali, a produrre nuovi accomodamenti; la contraddizione tra esiti
anticipati e esiti verificati a modificare le proprie
rappresentazioni.
La scuola e l'uso sociale di questa terminologia tendono però
a separarli. Scopriamo un discorso per ognuno di loro. Un discorso
del disadattamento e uno dell'apprendimento. Il primo: clinico,
sociale, medico o altro, dovrebbe essere regolato negli spazi del
sostegno pedagogico, dell'aiuto personale; il secondo: tecnico,
strumentale, epistemico,
troverebbe il suo spazio naturale e
normale nella classe.
Ma allora il disadattamento ha ancora uno spazio per essere
considerato sintomo? un passaggio? Oppure é la sua stessa
definizione sociale a immobilizzarlo? ritorna
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8) Il realismo é "pronto a rispuntare in ogni momento di crisi della creatività, si fonda sull'equivoco di un'arte intesa ( ) a imitare la visione del reale. ( ) "L'imitazione del reale é una forma archetipica inevitabile". Baj E., Ecologia dell'arte, pag. 227 ritorna al testo
9) Thévoz M., L'art Brut, Skira, Genève, 1980, pag. 13 e 14 ritorna al testo
10) Thévoz M., op. cit. pag. 14 ritorna al testo
11) La perdita di funzione sociale é pari alla rapidità dei cambiamenti. Le immagini pubblicitarie sono costantemente rinnovate ed hanno la solo funzione commerciale. Piuttosto che di segni lasciati, possiamo parlare di consumo di segni. ritorna al testo
12) Certamente la
maggioranza degli operatori scolastici crede che il disegno sia
importantissimo, vedi fondamentale, per la maturazione del bambino.
Ma allora come interpretarne le condizioni di realizzazione?
Non c'é certamente niente di peggio per dichiarare un regime
di scarsità. Lo scarso impegno, lo scarso interesse o la
scarsa importanza concessi al disegno si manifestano in quegli
atteggiamenti che lo relegano nei ritagli di spazio, nel superfluo,
nell'accidentale o che ne fanno solamente un apprendimento di
tecniche. ritorna
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13)
"L'alfabetizzazione insegna al bambino a leggere, ma non in modo
generico, visto il rifiuto che nella più parte dei casi
dimostrerà da grande per la letteratura", Baj E., op. cit.,
pag. 52.
Capire meglio come mai questo desiderio di segnare viene a cadere in
tanti bambini "disadattati scolastici" (e non solo quelli seguiti dai
servizi di sostegno), come pure nei cittadini in generale (ad esempio
analfabeti o analfabeti di ritorno, funzionali), questo il compito
che desidero assolvere.
Il 7,6 % di cittadini della Svizzera italiana sono incompetenti nelle
attività di lettura e scrittura, il 31% sono parzialmente
competenti (Cfr. E. Maccagno, "Spazi di scrittura. Alcuni indicatori
del fenomeno dell'analfabetismo nella Svizzera italiana", Bellinzona,
USR-DIC, 1993).
Un paradigma di tipo classico - che fa dunque capo a
difficoltà tecniche e a insufficienze di apprendimento ed
eventualmente d'insegnamento) é sufficiente a spiegare tali
dati? Non credo. Se ambedue le sfere, quella della parola scritta e
quella del disegno, sono testimonio del soggetto e le
difficoltà incontrate sono certamente segni di
difficoltà soggettive (che derivino da difficoltà
strumentali, cognitive e/o evolutive), altri osservatòri
devono essere presi in considerazione. Ci muoveremo allora sul
terreno dell'antropologia: dell'egemonia dell'operatività nel
mondo industriale post-moderno e osservata nelle dinamiche e pratiche
sociali (a questo proposito vedi: Martignoni G., op. cit.).
ritorna al
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14) Eppure la
contaminazione tra scrittura e disegno oggi ri-appare con
tutta la sua creatività. I graffiti (che tanti bambini delle
scuole elementari imitano sui fogli di disegno) non sono che un
esempio, del ritorno e del ricupero del desiderio di far testo.
Il loro terreno si situa però all'esterno della scuola,
sui muri delle case o sui manufatti stradali. Questa contaminazione,
comunque, non fa che mettere in luce le stesse origini del segno,
ricordandoci che mai sono state così separate come nella
cultura occidentale:
- l'origine semiotica comune, che si realizza in un significante, che
sia segno o simbolo, convenzionale o meno;
- l'origine pulsionale comune, che é quella di lasciare una
traccia. ritorna
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15) Il realismo che
prende corpo nelle produzioni del bambino non é il solo ad
esistere. C'é pure un "realismo rassegnato" (sig!) del docente
che talvolta é contraffatto o contrabbandato come
"pragmatismo".
Realismo = senso della realtà nella sua concretezza. Tende a
rappresentare la realtà nei suoi aspetti detti concreti e
sensibili (vale a dire é dominato dalla tendenza di
riprodurre).
Pragmatismo = indica il prevalere di atteggiamenti o interesse
presunti pratici, operatori, funzionali.
Surrealismo = espressione del pensiero al di fuori del controllo
esercitato dalla ragione razionalizzante. S'ispira all'inconscio e
alle sue manifestazioni.
E' ancora necessario dimostrare che l'equazione: pragmatismo =
realismo, é tutta ideologica? In fondo l'essere pragmatici
dovrebbe condurci tutti dritti dritti e direttamente all'utopia,
l'unica vera necessaria dimensione del vivere. ritorna
al testo
16) Breton, A., L'arte magica ritorna al testo
17) Baj E., op. cit., pag. 29 ritorna al testo
18) Non é questo il luogo per valutare quanto ogni singola realizzazione, ogni singola pratica dell'insegnamento reale corrisponda a questa descrizione. Il valore di tale premessa, prima che come eventuale critica dell'insegnamento reale, deve principalmente stare tutta nella sua ipotesi di lavoro. ritorna al testo
19) A questo proposito rivedi l'intervento di G. in: Normalità e funzionamento operatorio: "la malattia mortale dell'adattamento". ritorna al testo
20) Cfr. A. Breton, L'arte magica. ritorna al testo
[copertina Calicanto]
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