Anbo-jytsu

Lo sport dell'anbo-jytsu discende da molte antiche discipline di autodifesa, diffuse nei paesi asiatici della Terra. E' considerato l'apice delle arti di autodifesa, e richiede abilità, forza e intuizione.

Il gioco dell'anbo-jytsu trova le sue radici nelle antiche arti marziali terresti come il karatè, lo judo, il ju-jitsu, il kung fu, l'aikido, il tae kwon do e il ken do, ed è considerato la massima espressione nel campo delle arti marziali. Le regole dell'anbo-jytsu, praticato da due persone su una piattaforma circolare rialzata, sono molto simili a quelle di un'altra antica arte marziale chiamata lotta sumo. In questa disciplina, i due lottatori usano tutta la forza dei loro loro corpi imponenti per cercare di spingere l'avversario fuori dal ring e aggiudicarsi i punti. Nell'anbo-jytsu, i contendenti fanno ricorso alla forza fisica, ma anche all'intuizione e all'astuzia per raggiungere lo stesso obiettivo. Per questo scopo sono armati di un bastone lungo tre metri.
Tra l'anbo-jytsu e altre discipline full contact vi è però una sostanziale differenza: in questa disciplina i combattenti devono essere bendati. Uno spesso visore collocato sulla parte frontale dell'elmetto impedisce di vedere. L'unico indizio per scoprire la posizione dell'avversario è fornito da un rivelatore di prossimità nel bastone. Un elmetto protettivo che rende il contatto visivo virtualmente impossibile è parte integrante dell'uniforme dei combattenti.

La partita ha inizio

Prima di iniziare il combattimento, i contendenti si inchinano e ripetono una frase tradizionale. Iniziata la gara, i due si girano intorno; devono cercare di non dimenticare in che parte della piattaforma si trovano per evitare di cadere e perdere punti. In caso di atterramento, la partita viene interrotta finché il giocatore non si riprende. La partita termina al raggiungimento dei punti stabiliti o quando qualcuno viene ferito.

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