Osservazioni, commenti, letture, punteggiature,
relative alle difficoltà del saper ragionare a scuola
Avvertenza
A) Il titolo di questo testo: "chi lo fa lo
aspetti" indica un proposito e un approccio metodico e metodologico
del saper ragionare a scuola. E' importante aggiungere quel "a
scuola" al "saper ragionare". Le situazioni che la scuola propone, le
situazioni che implicano un ragionamento, sono ben specifiche, si
riferiscono a contenuti definiti come ben vedremo poi in seguito.
La domanda fondatrice il titolo di questo testo é la seguente:
"ma perché certi bambini (a scuola) non sanno ragionare?"
A quel titolo avrei voluto aggiungere un "primo",
messo lì a significare un prossimo "secondo", testo futuro da
scrivere? Quale la frontiera che li separa?
E' una questione metodologica e una questione di contenuti.
1) Quella metodologica concerne l'approccio
pedagogico didattico quotidiano relativo alle difficoltà di
ragionamento a scuola (e non solo per chi si trova in età
evolutiva
):
vuole dunque proporre uno sguardo e una lettura relativi a quelle
difficoltà, vuole proporre concetti per permettere una
comprensione delle ridondanze che sono il segno manifesto dello
"sragionare" e per mettere in situazione di equilibrazione
l'educatore e l'allievo.
Nei primi due capitoli di questo testo vedremo quindi di entrare in
materia in questo esercizio: capire come mai i bambini non sanno
ragionare a scuola, ma scoprire come mai noi stessi, quali educatori,
ripetiamo gli stessi errori (magari imputandone tutte le cause agli
allievi).
2) Questa questione metodologica é
però anche di contenuto. Si tratta, vale a dire, di capire
quali sono i contenuti che noi accordiamo al ragionare:
le modalità di lavoro del docente, piuttosto legate alle
soluzioni da perseguire, alla ripetitività di pattern
esecutivi, algoritmi aritmetici, ecc
piuttosto che mirate alle
funzioni rappresentative e alle strutture della conoscenza, sono
appunto dei contenuti che vogliamo affrontare.
Ma l'uso di una metodologia pedagogico didattica piuttosto legata
alla domanda "cosa hai trovato" in contrapposizione a quella che
chiederà "dimmi come hai fatto" o "dimmi come puoi fare"
diventa appunto una questione di contenuti differenti da proporre a
scuola.
B) Nella prima, e seconda lunghe parte di queste righe mi sono
avventurato principalmente su un terreno abitudinario: quello che
crede - per far ragionare il bambino, o per aiutare il bambino a
sviluppare le sue abilità di ragionamento - che per ragionare
non si debbano affrontare problemi reali ma piuttosto dei problemi
aritmetici (oggi chiamate situazioni) o far leggere un testo
Per portare i bambini sui binari del ragionare gli educatori
potrebbero proporre molte altre cose. E si potrebbero intraprendere
percorsi senza muoversi su quei simulacri di ragionamento quali sono
i problemi aritmetici classici. Dovrebbero, potrebbero avventurarsi
nell'ambito delle spiegazioni causali, che sia quello del mondo delle
leggi fisiche, oppure della realtà delle relazioni fra persone
Altri mondi e modi di operare potrebbero essere possibili
ma
ciò lo sorvoleremo nella terza parte di questa dissertazione,
sperando di poterla approfondire in un futuro molto prossimo?
C) Alla fine di questa lettura una domanda
legittima potrà sorgere: perché non tuffarci
immediatamente in terreni nuovi? ma allora perché una
descrizione così lunga su quanto infine concerne solo una
minima parte del saper ragionare?
Le risposte sono varie. Una la più semplice é la
seguente: cominciamo ad approfondire quanto stiamo proponendo, prima
di proporre qualcosa di completamente nuovo. Esplicitiamo quanto
svolgiamo tradizionalmente, prima di avventurarci in qualcosa di
ignoto. Fare chiarezza sulla "tradizione" serve a perfezionare la
didattica quotidiana, serve a inscriverla in un approccio che sia
evolutivo e creativo.
In secondo luogo prima di stravolgere tutto l'approccio didattico
modificando approccio e contenuti cominciamo pure a modificare una
sola delle due variabili. E' quanto ho fatto considerando
l'approccio, in quanto mi sembrava quello più potenzialmente
ricco in sviluppi futuri. Inutile sarebbe proporre situazioni di
esperienze fisiche, di relazioni causali solo per spingere gli
allievi a clonare le medesime soluzioni
se così fosse
limitiamoci a fare quello che già facciamo da sempre.
Insomma prima di tutto mi pareva importante capire cosa d'altro
potevamo/dovevamo fare nel nostro modo di rapportarci al
ragionare.
Infine una ultima spiegazione potrebbe riferirsi alle reazioni
circolari secondarie e terziarie. In un certo senso è quanto
viene proposto considerando di trattenere il più a lungo un
oggetto (i problemi "tradizionali") per variarne le modalità
di interazione e percezione: esperienze per vedere, per rendere
l'oggetto un oggetto permanente
Per queste e altre ragioni solo nella terza
parte giungo ad esplicitare quanto continuamente traspare:
ma sono i problemi aritmetici il terreno giusto par ragionare, sono i
problemi aritmetici a favorire il ragionamento o viceversa il saper
ragionare é un requisito per risolvere problemini aritmetici?
Si impara a ragionare con i problemini aritmetici?
Nella terza parte di questo lavoro allora troveremo un nuovo inizio
per nuove esperienze pedagogico didattiche.
Durante la stesura di questo lavoro ho avuto l'opportunità di partecipare a una serie di incontri in un gruppo di lavoro composto da: Ivano Crotta, Daniela Sodi, Silvia Righenzi, Augusta Binda, Sandra Stalder e Nerina Bonalumi, colleghi dell'équipe di Sostegno pedagogico, che ringrazio. Tra di noi abbiamo avuto modo di sperimentare quanto descritto.
come una ragnatela
1. Premessa
"L'abitudine é pericolosa. Per
esempio bisogna essere prudenti con la prudenza, la prudenza
divenuta abitudinaria é pericolosa. Un uomo che lava
sempre le ciliegie prima di mangiarle, può facilmente
una volta o l'altra bere l'acqua in cui le ha lavate e
prendersi il colera, si dice". Bertold Brecht, Me-ti. Libro delle
svolte, Einaudi 1970, pag. 99
"Ma questo bambino non sa ragionare, ripete
sempre le stesse risposte, ripete sempre gli stessi schemi". Quante
volte abbiamo sentito un docente sconsolato ripetere questa frase?
Quante volte nell'esperienza quotidiana dell'insegnamento e del
sostegno ad allievi in difficoltà a scuola abbiamo vissuto e
ripetuto la stessa esperienza?
Bambini che non ragionano
, in un mio
articolo1)
- che rimane la base del lavoro presente - scrivevo:
Sovente quando ci confrontiamo con un allievo che non riesce ad integrare gli insegnamenti in un insieme coerente, che non generalizza e non differenzia, che non scopre o costruisce regolarità, che non riesce a formulare ipotesi rispetto le proprie azioni, insomma di un bambino che ancora ragiona e si fissa sulle configurazioni, sovente, diciamo che questo bambino é ancora dominato da necessità percettive, ed eventualmente che si situa (ancora) ad un livello pre-operatorio.Il pensiero più spontaneo e immediato, conseguente a quanto descritto, può essere quello di consigliare al docente, o al genitore, di insistere nella manipolazione di oggetti, affinché il bambino abbia ad esercitare sufficientemente le modalità a lui congeniali in quel momento e ciò nella speranza che dette esperienze, queste ripetute azioni, lo portino automaticamente a delle operazioni.
Insomma siccome la resistenza si situa nell'incapacità ad abbandonare il dato sensibile e nel primato della percezione rispetto l'astrazione, come pure nell'azione con elementi figurali rispetto alle operazioni, ne prescriviamo la necessità e la continuità, sperando che una maggiore fissazione di queste modalità di "computazione" della realtà ne comportino automaticamente un loro superamento.Quali sono le condizioni indispensabili in questo tipo di lavoro (quello consigliato ai docenti o ai genitori) affinché il bambino scopra le regolarità logiche, scopra (costruisca!) le conservazioni, costruisca e comprenda i valori posizionali nella costruzione del numero, sappia affrontare un testo con atteggiamento attivo di ricerca e scoperta, sappia fare delle inferenze, delle ipotesi, astrarre delle regolarità tra elementi percettivamente dissimili, ecc ?
Cosa é che definisce le necessità percettive di un bambino? Quali sono le sue interne necessità che lo muovono in tal senso?
Allora, relativamente al soggetto, la prima domanda sarà piuttosto rivolta al suo esterno e ci porterà a riflettere sull'apparato psicopedagogico, pedagogico e didattico, a sapere come organizzare le esperienze, quali materiali proporre, che tipo di compito dare, affinché il bambino sia accompagnato nella scoperta e nella costruzione di strategie operatorie, ecc ; la seconda domanda ci porterà al suo interno, a riflettere sull'evoluzione psicologica del bambino.
Per riflettere sul funzionamento di questi bambini bisogna ben cominciare a riconoscere il pensiero senso-motorio, a identificarlo quando esso si manifesta a scuola e riflettere sul pensiero simbolico ed operatorio.
2. Mise en place
In questo testo prolungo dunque le
riflessioni già avviate nel testo citato. E quello presente
é comunque ancora uno studio di impronta epistemica,
epistemofilica e clinica. Una ricerca senza pretese di
esaustività, che viene ad aggiungersi al mio testo appena
rammentato. Testo che, lo ripeto, sta a queste righe come le
fondamenta a una costruzione.
Il presente testo é retto da due tracce di indagine:
- una epistemica, perché si basa sulla conoscenza delle tappe
di sviluppo del pensiero del bambino;
- ed una clinica perché naviga con le difficoltà della
cognizione, con i suoi arresti, con le sue accelerazioni e
decelerazioni, con i suoi décalages, con le sue asimmetrie o
sviluppi dis-uniformi.
Viaggeremo pertanto tra la pedagogia, la psicopedagogia, la
psicologia scolastica, l'epistemologia, la psicologia dell'età
evolutiva, la psicopatologia della cognizione e la filosofia
dell'educazione.
In altri termini: tratteremo dunque di quella che può essere
chiamata pulsione epistemofilica e delle sue disfunzioni.
Non ho realizzato una ricerca statistica,
corredata di tutti i dati necessari sulla frequenza e la
ricorsività di quanto andrò descrivendo (vedi poi gli
esempi di "s-ragionamento" che riporto in seguito); non propongo
nemmeno dati che possano inserire tali comportamenti in una
tassonomia di competenze, o in apparato stadiale; come bello e
importante sarebbe magari fare.
Ho descritto le osservazioni che ho potuto trarre dalla mia
esperienza; ma ciò senza un apparato di ricerca e di
osservazioni sistematizzate: siamo dunque ancora a un lavoro pilota,
introduttivo, ritagliato nel tempo, e senza la dovuta
continuità. Qua e là potranno dunque mancare dei nessi
causali fra un paragrafo e l'altro
Quelle che seguono sono osservazioni legate alla presenza e al
manifestarsi di quello che ho già chiamato "il pensiero senso
motorio a scuola" 2).
Comportamenti tipici e quotidiani; ma comportamenti indesiderati, non
sempre sufficienti e pertinenti a risolvere i problemi proposti dal
docente. Comportamenti che inesorabilmente, a scuola, si rivelano
spesso essere una zavorra, come pure una zavorra alla scuola;
patologie dell'apprendere, sclerotizzazioni o fossilizzazioni
dell'apprendere.
Eccolo allora il pensiero che ha perso le sue radici, il pensiero che
vede le sue origini sclerotizzate in quello che diventa talvolta un
modo di funzionamento rigido, fisso, ripetitivo, senza
possibilità di trovare vie di uscita?
Con i bambini di scuola elementare è
lecito attendersi due tipi di funzionamento dell'apparato cognitivo,
perlomeno con i bambini più piccoli. Vediamo un funzionamento
di tipo senso-motorio, che si sviluppa nella prima infanzia, e uno
simbolico, che si sviluppa a partire dall'avvento della funzione
simbolica.
Queste due forme di conoscenza, di padronanza e di maniera di
interagire con la realtà, sono mescolate tra loro e sono
presenti sempre a scuola e nella vita. In forma e gradazioni
fluttuanti. Traggono però la loro origine e il loro sviluppo
in una età che dovrebbe essere precedente alla
scolarizzazione. Questo in una situazione normale.
Lo stadio senso-motorio è stato ben descritto. Nella
letteratura scientifica abbiamo una dovizia di osservazioni e
spiegazioni.
Quanto io ho definito con tal nome si riferisce quindi a dei
comportamenti che sono slegati dal ragionamento, dal saper
comprendere, dal fare delle ipotesi e dal saperle controllare. Come
difficile è vedere in questi comportamenti delle
attività di anticipazione di un effetto (cioè di
valutazione di un evento senza potere vederlo), ma sono piuttosto
basati sulla percezione; sono comportamenti pure scarsamente
argomentativi.
Essenzialmente percettivo e manipolatorio, il funzionamento senso
motorio precede l'intuizione e il simbolo
Ma quanto è descrittivo di uno stadio tipico e originario
dello sviluppo del bambino
la stadio senso motorio appunto,
viene dunque ripreso come concetto non più stadiale, ma di un
modo di funzionamento. Un modo fra molti.
Sappiamo - ciò é ben descritto in molti modelli dello
sviluppo del bambino - come la crescita dell'intelligenza non abbia
un processo lineare. Ma questo si presenti con accelerazioni,
regressioni, stasi. E poi sappiamo delle dissincronie, dei
décalages, delle "viscosità", ecc
Ci sono varie
linee, vari livelli, diversi tipi di intelligenza e così via
3).
In poche parole, sappiamo che l'apprendimento non è lineare e
che accanto a sviluppi forti possono permanere atteggiamenti passati.
I nuovi stadi, le nuove potenzialità e competenze non vengono
a fagocitare totalmente quelle vecchie. Le passate disposizioni non
scompaiono totalmente, ma rimangono, qua e là, a seconda degli
interessi, delle motivazioni, delle esperienze del bambino, ecc
Basti pensare alla lettura. Come questa possa essere oggetto di una
trattazione intelligente oppure percettiva. Un caso è capire
un testo e magari rispondere a delle domande o fare delle ipotesi. Un
altro è saperne fare la dizione, saper far corrispondere il
suono al segno. Se il primo è un processo che sgorga
chiaramente dalle possibilità di inferenza del soggetto e
può perfino necessitare di competenze formali per permettere
al ragionamento il suo svilupparsi (come ad esempio la lettura di una
tabella che riporti, quantificandone le probabilità, il numero
di combinazioni possibili che un dato carattere genetico si manifesti
dopo N generazioni), il secondo è un processo che rimane
semplicemente ad un livello di ripetitività, una meccanica che
nulla richiede alla comprensione, se non una iniziale costruzione
della corrispondenza suono segno 4).
Accanto ad atteggiamenti evoluti constatiamo la permanenza di altre
competenze più primitive sul piano ontogenetico, ma ciò
non di meno necessarie e importanti. Queste stesse abilità
primitive sono necessarie nel ventaglio delle possibilità di
risposta all'ambiente, alle sue variazioni e alle sue richieste.
Possibilità multiple sempre attuali e attualizzate
quotidianamente
3. Desideri
Sono 4 le tappe necessarie per affrontare le difficoltà sorvolate, 4 i pantani pedagogici, le variabili e gli obiettivi del mio agire presente sul pensiero senso motorio. Almeno, quattro sono gli elementi che vorrei poter essere in grado di risolvere al fine di questo mio navigare:
1. riflettere quali sono i soggetti (bambini) che si scontrano su tali nodi. Farne una categoria, scoprirne e descriverne le caratteristiche generali. Finché li descriveremo solamente rispetto l'errore, l'attività o la scheda che li vede in scacco limiteremo le possibilità d'intervento, ne alieneremmo la fonte, costringendoci ad intervenire sempre e soltanto sulle risposte e non sulle dinamiche del bambino.
2. saper fare una lettura, ma una lettura che sia evolutiva. Sapere cioè inserire una data risposta in un percorso cognitivo, nell'evoluzione progressiva delle conoscenze epistemiche
3. sapere e riuscire a capire perché un bambino si accanisce e si fissa su di una modalità. Quali sono i nodi, i blocchi che lo fissano su una data teoria, o su di una data modalità d'interazione con l'ambiente, su di una data modalità di risposta, senza essere in grado di cogliere e raggiungere modalità più evolute 5)
4. trovare e sorvolare, se non proprio costruire, delle modalità di lavoro per affrontare almeno alcuni dei nodi e superarli
Non possiamo limitarci ad una lettura caso per
caso senza estrapolarne delle regole. Saremmo condannati alla
creazione perpetua di schede da proporre all'allievo, senza avere la
certezza che le competenze esercitate vengano generalizzate, e
ciò senza restare inchiodate a contesti decisamente specifici
o iper specializzati.
Perbacco, non che ciò sia disdicevole, tutt'altro. La
creazione di manuali d'uso e di curricoli d'apprendimento di nozioni
e competenze di contenuto sono sicuramente auspicabili ma escono
dalle competenze e dalle possibilità presenti. Così
come escono dalle intenzioni del sottoscritto. Ciò che importa
maggiormente é trovare delle costanti e delle regole sulle
quali intervenire. Costanti e variabili possibili, che permettano di
farci capire e di farci agire in maniera creativa e generativa:
modelli generalizzabili e differenziabili ogni qual volta ci troviamo
impantananti nelle difficoltà del ragionare. Modelli e
variabili che ci diano qualche pista di indagine e di lavoro
creativo.
Lavoreremo sulle modalità allora,
piuttosto che sui prodotti. Sulla modalità di accesso
ad una informazione o sulle modalità di computazione della
stessa, sui processi di costruzione delle conoscenze piuttosto che
sulle conoscenze stesse. Un po' come entrare in un periodo operatorio
(secondo il modello piagetiano) dovremo staccarci dalle
configurazioni per osservare noi stessi, ciò che facciamo,
ciò che agiamo
6).
Ma agiremo pure con noi stessi proprio come potremmo proporre agli
allievi
costanti e variabili
4. Costanti e variabili: costanti
Regolari sono le situazioni che viviamo a scuola, frequenti, ripetute, conosciute: come l'insuccesso scolastico degli allievi e come l'insuccesso del nostro agire. Regolari e ricorsive, le difficoltà si manifestano frequentemente. Sono una costante del nostro lavoro. Vediamone degli esempi.
Nota: tali esempi sono tratti quasi tutti dalla mia esperienza quotidiana, alcuni mi sono stati riferiti.
Questi esempi si riferiscono a molte bimbe e
bimbi di:
- età e classe differenti,
- ambedue i sessi,
- provenienze geografiche e culturali disparate,
- varia estrazione socio culturale.
Siccome non stiamo effettuando uno studio stadiale ma riflettendo sul
modo di funzionamento ho volutamente omesso di indicare l'età,
come pure classe e sesso dei soggetti. Non é appunto
importante conoscere questi dati perché non sono pertinenti
alle osservazioni svelate. Questi, in effetti, sono comportamenti
giustificabili oppure no, consoni alle aspettative oppure no,
relativamente all'evoluzione (età) del soggetto. Evidentemente
dipendono molto dall'età del bimbo e dalle sue esperienze.
Domanda: a quale età possiamo aspettarci di rilevare un
determinato comportamento?
Siamo di fronte a una domanda falsa perché tutti i
comportamenti rilevati sono e non sono contemporaneamente
attendibili. Corrispondono a una tappa nell'evoluzione delle
conoscenze del soggetto, corrispondono a un saper fare e a un saper
dire dell'allievo, corrispondono alle sue spontanee teorie, alla sua
evoluzione, alla sua comprensione dell'oggetto, alle sue
possibilità di risposta. Sono segno di un funzionamento per
copioni 7),
di schemi rigidi, dove il ragionamento non interviene a modificare
procedure già fossilizzate. Sono il segno di una tappa
evolutiva.
Questa la domanda da fare ogni volta, e indipendentemente
dall'età del soggetto: quale era la teoria sottostante, quali
sono state le variabili, le ipotesi agite e controllate dal bimbo.
Cosa l'ha spinto a rispondere a tal modo?
Esempi senza commento
Gli esempi seguenti sono descrizioni
quanto più brevi possibile e fedeli a quanto osservato nella
mia pratica psicopedagogica.
1. conservazioni e trasformazioni
(contando soldi)
XY prende una banconota da 20.- Fr. e una moneta da 20 ct. La somma
é 40.
2. il doppio (cantando una canzone)
Un coro di 10 bambini canta una canzone in due minuti. Quanto impiega
a cantare la canzone un coro di 20 bambini?
Risposta: 4 minuti perché é il doppio
3. valore posizionale
XY esegue il calcolo seguente:
508 + 34 =
Dice: "tolgo l'8 rimane 50"
4. valore posizionale
Con il materiale Cuisnaire XY dice che:
= 32 oppure = 23
Queste risposte sono date indifferentemente
(cioè senza tener conto dell'orientamento spaziale dei
legnetti).
In seguito oriento i legnetti proponendo contemporaneamente tre
configurazioni. Allora si ottiene:
= 32
= 23
= 2
5. nominare
XY mi chiede:
- Quando facciamo la lettura?, indicandomi il
classificatore che abbiamo sul tavolo. Le chiedo quale lettura. Lei
ripete:
- Quando facciamo quella lettura?.
- Quale? chiedo io.
- E XY con il dito mi fa cenno al classificatore:
- Quella lettura.
E io ripeto:
- Quale lettura?, senza permetterle di cercarla per mostramela.
Il giochetto va in avanti due o tre volte ancora. Infine XY mi
dice:
- La lettura della passeggiata.
Cioè infine nomina il testo.
6. memorizzazione del calcolo
XY sa eseguire mentalmente e a memoria i calcoli
seguenti:
3 + 2
5 + 4
6 + 3
8 + 1
2 + 2
invece quelli seguenti li deve calcolare sulle dita
13 + 2
15 + 4
16 + 3
18 + 1
12 + 2
7. sciando
Su di un campo di sci XY vuole deve fare una gara di slalom. E'
la prima volta. Gli spiegano che deve passare in mezzo alle porte.
Ebbene XY passa letteralmente in mezzo alle porte, piegando le
ginocchia e passando sotto alla stoffa ogni volta.
8. tecnica del calcolo, algoritmi
XY, classe 3 (9;3) esegue la sottrazione seguente:
855 -
178 =
Alle unità esegue:
"5 meno 8 non si può, allora faccio 15 meno 8."
Conta sulla dite e trova 7.
Poi ripete sulle decine:
"C'é il riporto. Allora 5 meno 8 non si può, allora
faccio 15 meno 8"
e conta di nuovo immediatamente sulle dita.
Gli dico "ma non l'hai appena fatto?"
Il bimbo mi guarda di sottecchi e dice: " quanto faceva (passano 7 o 8 secondi ) ah già sette".
9. la divisione
XY deve dividere un gruppo di 15 musicassette in tre parti.
"Ah, é come fare a pezzi una torta"
E sul disegno frantuma le cassette in tre.
10. percezione dei numeri - valore
posizionale
Mostro con le mani delle quantità, indicandole con le
dita. Ciò velocemente al fine di favorire la ritenzione
mnemonica.
Sposto le mani vicino XY, a destra, sopra la testa, ecc
modificandone la posizione nello spazio.
Ebbene se un momento le dita erano 6, cambiandone la presentazione davanti XY queste possono diventare allora 5 e 1, oppure 1 e 5, cosa che é ancor giusta seppur indice della difficoltà; ma possono pure diventare 51, oppure 15.
11. a tavola
Un bambino apparecchia la tavola alla scuola dell'infanzia. Mette
piatti e posate. Il menù prevede una minestra.
Un compagno gli dice di cambiare "perché la minestra si mangia
con la fondina" (non con il cucchiaio). Il bambino non capisce
più cosa deve fare.
12. conversando
Dopo un parto di un fratellino a scuola si parla delle nascite,
delle mamme partorienti, del "mettere alla luce i bambini". Si
propone un disegno dei Ebe appena nati come momento per la
discussione. Ebbene non pochi disegnano i bimbi sotto dei lampadari e
affermano di non sapere perché vengono messi sotto una fonte
luminosa.
13. orientamento
I bimbi usano fogli di classificatore per un esercizio. Sono
abituati a prenderli e metterli sul tavolo con "i buchi dalla parte
delle finestre" , affinché siano per inserirli poi
correttamente nel classificatore.
Ecco basta che il bimbo sia orientato di 180 gradi, seduto al
contrario, o in un altra aula che, mettendo i buchi dalla parte delle
finestre, utilizzi il foglio in maniera scorretta per il suo
inserimento nel classificatore
14. contrari
Grande - piccolo,
nero - bianco,
giorno - notte,
leggero - pesante.
chilometro?
ortemolihc!
15. conoscenza del numero
Filippo, in classe quinta, guarda una sottrazione in
colonna:
767 -
764 =
A lato do un foglio con i numeri seguenti
3
72
628
1314
E chiedo "senza calcolare, prova a indovinare
rapidamente quale può essere il risultato?" Da annotare che
lascio guardare la sottrazione per un solo istante, poi la
maschero.
Risponde 628 perché "ha tre cifre".
Stessi esempi a 4 cifre
3624 -
3623 =72
628
4000 &endash;
3999 =
con le proposte seguenti
1
10
100
1000
16. conoscenza de numero
Un docente sta presentando un sistema di rappresentazione del
raggruppamento per decina di un insieme numerico. Ciò per
introdurre il valore posizionale relativo alla base 10.
Racconta alla classe: "ecco ogni 10 palline facciamo un sacchetto ". Una bambina non ha capito, o ha poco ascoltato (il che equivale alla stessa cosa). In seguito il docente dice: "bene adesso fate l'esercizio. Fate come me". Ebbene la bambina riproduce esattamente lo stesso raggruppamento eseguito dal docente (due sacchetti e poi ancora tre palline, che equivale a 23), anche se il numero degli elementi o degli oggetti non corrisponde alla situazione stimolo (per esempio aveva 45 palline), non applica dunque il raggruppamento in base 10 alle differenti situazioni proposte. E ad ogni nuova situazione, ad ogni nuovo insieme numerico, non capisce perché non riesce ad eseguire rapidamente il raggruppamento "due sacchetti e poi ancora tre palline"., non capendo cosa deve fare con tutte quelle palline che avanzano.
Esegue una azione, non una operazione.
17. dizione
La lettura, silenziosa o non, quando é unicamente
manifestazione della corrispondenza tra segno scritto e suono. Cosa
che non é altro che una corrispondenza termine a termine e che
converrebbe forse semplicemente chiamare "dizione".
A scuola si confonde ancora spesso e volentieri il comprendere un
testo e la sua dizione.
18. numeri con l'accento
I numeri con l'apostrofo e i numeri con l'accento.
L'attività proposta si prefiggeva di trattare e di valutare
diverse schede equivalenti ma con una progressiva estensione
numerica:
(esempi delle schede)
scheda 1
conosci bene i numeri entri il 1 000 ?
la cifra 3, quanto vale nel numero 638 ?
...........................................
e nel numero 103 ?
...........................................
la cifra 7, quanto vale nel numero 754 ?
...........................................
e nel numero 972 ?
...........................................
scheda 2
conosci bene i numeri entri il 10 000 ?
a cifra 2, quanto vale nel numero 4623 ?
...........................................
e nel numero 4276 ?
...........................................
la cifra 5, quanto vale nel numero 4053 ?
...........................................
e nel numero 5904 ?
...........................................
e nel numero 2245 ?
...........................................
scheda 3
conosci bene i numeri entri il 10 000 ?
la cifra 2, quanto vale nel numero 92003 ?
...........................................
e nel numero 28976 ?
...........................................
e nel numero 5,2 ?
...........................................
la cifra 5, quanto vale nel numero 5803 ?
...........................................
e nel numero 98154 ?
...........................................
e nel numero 1821 ?
...........................................
e nel numero 12,58 ?
...........................................
Ebbene Adelmo non sa (più?) distinguere ciò che é numerico da ciò che é linguistico, la virgola dei numeri decimali dalla virgola del testo. Tutto diventa confuso e indistintamente apostrofo o accento. Ciò che é identico é il segno grafico.
19. linguaggio prescrittivo
Una collega incontra un bambino alla scuola dell'infanzia. Fanno
una attività e le dice: "guarda sul quel tavolo c'é una
matita, prendila". Il bambino guarda e si dilunga un po' con tutti
gli oggetti che sono sparsi sul tavolo. Forse non ha nemmeno bene
capito quanto deve fare o forse ha visto qualcosa di più
interessante. La collega spazientita da questa perdita di tempo
allora dice: "eh cerca di muoverti un po'". Il bambino allora si
mette a saltellare ed agitarsi e poi dice: "ma guarda, non ho mica
capito perché mi hai detto di muovermi".
20. pittura
Un collega deve rispondere improvvisamente al telefono durante
una seduta di lavoro quando stava realizzando una figura sagomata, un
personaggio. Prima di staccare la cornetta il collega rapidamente
dice: "pittura il vestito", il bambino esegue prontamente l'invito
pitturando il proprio vestito, cioè quello che
indossava.
Esempi con commento
21. tecnica del calcolo, algoritmi
648,35 &endash;
227,14 =23347,12 &endash;
21188,67 =
XY quando dice che: "i due calcoli sono
differenti perché il secondo è più lungo",
dimostra di aver ben imparato la didattica ufficiale che imposta la
difficoltà crescente dei calcoli relativamente alla
quantità di cifre che essi riportano (sig!).
Non vede i riporti, non s'avvede della necessità di effettuare
dei riporti e del numero di riporti da gestire, e poi non ha
minimamente bisogno di padroneggiare il valore posizionale e tanto
meno i decimali. Basta sapere incolonnare, come una disposizione
spaziale, una "buona forma".
22. letture percettive (di problemi)
1) Ho comperato 8 bastoni di pane da 2 Kg. Quanti Kg. Di pane ho comperato in tutto?8 + 2 = 10In tutto compero 10 bastoni di pane.
2) Il papà ha fato rifornimento di benzina diverse volte. Il mese scorso per due volte ha preso 36 litri. E per altre due volte 24 litri. Quanti litri ha preso in tutto?36 +
24 =
60In tutto ha ricevuto 60 litri di benzina
3) Il papà muratore va a lavorare. La sua ditta sta costruendo 2 case in due posti differenti. Va 2 volte al primo posto (il lunedì e il martedì). E' distante 36 Km. Nell'altro posto va 3 volte (mercoledì, giovedì, venerdì). E' distante 24 Km. Il papà quanti Km ha percorso in tutto per andare a lavorare?2 +
2 +
36 +
3 +
24 =
67Il papà fa 67 Km.
4) Gioco a bilie. Alla fine della partita me ne rimangono 10. Quante ne avevo all'inizio se ne ho perse 4?
10 &endash; 4 = 6, ho perso 6 bilie
commento
E' evidente che il tipo di lettura di questi problemi è
percettiva. XY Riporta in ordine la prima cifra scritta, poi la
seconda e così via. L'ordine percettivo corrisponde all'ordine
aritmetico. Nel quarto esempio l'ordine descrittivo poi non
corrisponde a quello cronologico reale, perché il gioco
comincerebbe con: "Ho 14 bilie
"
In oltre XY trascrive qualsiasi numero scritto in cifre
23. imboccare
Un bambino ripete, per imitazione, l'atto d'imboccare. Imbocca
una bambola, ripete l'atto, muove il braccio. Ma per lui tutta
l'attività, a questo stadio, si risolve nell'aspetto motorio,
muovere il braccio meccanicamente e ripetutamente. E' questo un
esercizio funzionale, della funzione che muove il braccio
é una reazione circolare.
commento
Un'azione simbolica si manifesta quando, ripercorrendo la stessa
situazione precedente il bambino si immagina i risultati della sua
azione, il nutrimento del Ebe, i suoi capricci, ecc
Per esempio quando muove le labbra nel gesto di mangiare
Abbiamo qui un passaggio dal semplice fare meccanico a un fare
simbolico. Da un gioco funzionale, meccanico-esecutivo (magari di
tipo imitatorio) a un gioco simbolico.
24. sottrarre
Su una scheda di calcolo c'é scritto "esegui la
sottrazione seguente". Ebbene il bambino non sa cosa fare. Solo
quando sentendo un suo compagno o sbirciando s'accorge che da qualche
parte c'é tracciato il segno "- " (meno>) dice "ah devo
fare il meno".
commento
Il segno grafico meno ha fatto scattare un pattern di tipo esecutivo,
immediato e meccanico. Ma il bimbo non é giunto al simbolo (la
lingua é un sistema di simboli), tanto é vero che non
sa fare il collegamento tra esso e il termine "sottrazione" che
rimane incompreso, pure dopo vari anni di frequenza
scolastica.
25. permanenza dell'oggetto
Con Franca faccio un gioco, un gioco progressivo, o una
progressione di giochi. Qualcosa tra il gioco di Kim e il Memory.
Prendo delle figurine e comincio con il gioco di Kim (nel gioco di
Kim si tratta di costruire una fila o una serie di 4, 5, 6 oggetti (o
figurine) e poi chiedere al bambino di ricostituire la sequenza dopo
averla manomessa). Franca deve memorizzare le postazioni relative ad
ogni immagine che io metto in fila davanti al lei. Uso 6 o 7
figurine. Quando ha ben memorizzato le postazioni io cambio il posto
di alcune figurine. In progressione poi ne aggiungo magari delle
nuove che non c'entrano, o ne tolgo.
Ebbene Franca rapidamente e correttamente ricostruisce la sequenza
iniziale, eliminando le eventuali nuove figurine o ricuperando quelle
tolte.
Ha dunque ben memorizzato non solo tutte le figurine, ma anche le
rispettive posizioni nella fila.
In un secondo momento faccio la stessa cosa con 6 o 7 parole scritte.
Stessi sviluppi.
Da notare che il materiale é stato scelto appositamente con Franca al fine di eliminare oggetti sconosciuti e parole sconosciute. Il vocabolario é controllato e tutto legato all'esperienza di Franca.
A questo punto riprendo le figurine, che
capovolgo (quindi non si vedono più, situazione tipo Memory)
rispettando però la stessa disposizione sequenziale
precedente.
Ebbene se chiedo a Franca di dirmi in quale postazione si trova una
carta che io nomino ("dove sta il sacco" , " dove sta il la pesca", "
dove sta il treno"
), prontamente me la indica senza errori.
Quando io le chiedo di nominarmi la carta indicandogli una postazione
("cosa c'é qui"?) non me la sa nominare. Con le parole scritte
si ripete esattamente la stessa dinamica. Quando le do il nome mi
mostra il posto, quando indico il posto non mi sa più dare il
nome. Questo succede diverse volte anche modificando il
materiale.
commento
Franca sa trovare dunque una figura o una parola nascosta se le
dico il nome. Se le indico la postazione e chiedo di denominare la
carta non é più in grado di farlo. Non sa cioè
risalire alla denominazione di un oggetto o alla sua raffigurazione
simbolica scritta quando non ha un indizio percettivo per farlo. Sa
cosa è una pesca, sa cosa è un treno e così via,
sa ritrovarli in una posizione nascosta come quella del memory ma non
è più in grado di giocare a partire dalla sola
posizione.
Per riuscire ha bisogno di un imput nominale (il nome: "pesca",
"treno" ecc
) oppure visivo, scritto (le grafie relative ai
vari oggetti).
E' un problema di permanenza dell'oggetto. Ai primi stadi senso motori descritti da Piaget il bimbo non sa ritrovare un oggetto nascosto sotto uno straccio La permanenza é parziale; é possibile o attuata solo a partire da una percezione dell'oggetto, che scatena poi uno schema attivo La permanenza é parziale perché necessità di un dato percettivo (in questo caso anche nominale) che facilita il compito. Un indizio necessario per scatenare il ricordo di quanto già percepito. Una percezione parziale, come il biberon semi mascherato che il neonato riconosce per quello che é, ma che non sa riconoscere se il mascheramento é troppo grande. Un problema di gestalt si potrebbe pure dire, di buona forma di una forma che si manifesta in presenza di sufficienti elementi
26. stereognosie
Un bambino sa rispondere in situazione di stereognosia
tridimensionale (3D) di un oggetto - "ho in mano una mela". Ma non
é in grado di rispondere in situazione di stereognosia
bidimensionale (2D).
commento
La mela, non é il disegno della mela, la scala non
é la sua raffigurazione, l'uovo non corrisponde al suo profilo
di forma più o meno ovale
Forse l'esperienza stereognosica 2 D é difficile perché
manca una immagine più direttamente correlata con l'oggetto
fisico
la stereognosia 2D di un oggetto (per esempio il
profilo cartonato di una mela) equivale alla stereognosia della sua
immagine (vale a dire alla stereognosia di una costruzione di una
rappresentazione).
27. classificazioni
Con Adelmo, all'inizio dell'anno scolastico, riordino il
materiale di matematica (DIMAT). Questo é organizzato in
maniera tale che il programma é suddiviso in un numero preciso
di argomenti, nel programma in questione sono 21, con una
progressione facile, medio, difficile. Così il bambino,
davanti a lui si ritrova 63 fogli - corrispondenti a 63 "test" -
relativi agli argomenti e ai tre livelli di difficoltà. Ogni
foglio ha la sua intestazione e numerazione relativa all'argomento.
Il bambino riceve tutto il materiale già ordinato.
Da notare che sono già due anni Adelmo lavora con questo
sistema e il materiale appena ricevuto é identico a quello
dell'anno precedente.
Ebbene io elimino tutti i riferimenti "classificatori": le
intestazioni (titolazioni dei 21 argomenti) presenti su ogni foglio,
le numerazioni (in quanto la titolazione ha una sua numerazione
associata). Lascio solo le consegne relative alle operazioni
aritmetiche, le misure, i numeri, ecc
su ogni foglio tolgo
dunque ciò che serve per ordinare il materiale nel
classificatore, e lascio tutto quanto é relativo
all'esecuzione di operazioni aritmetiche. Lascio pure le indicazioni
facile, medio, difficile.
Eliminati i riferimenti descritti, mescolo i 63 fogli é chiedo
al bambino di ordinare il materiale secondo i suoi criteri.
Da notare che i raggruppamenti spontanei non corrispondono per niente
a quelli del materiale. Adelmo raggruppa per esempio schede che
concernono operazioni aritmetiche di segno differente, oppure di
misure differenti, ecc
Ecco alcune sue verbalizzazioni:
"vanno assieme perché hanno i cerchi" (nei fogli presi ci sono dei numeri sparsi inscritti in una forma circolare);
"vanno assieme perché hanno la mano" (qui c'é una mano come elemento iconografico per indicare qualche cosa);
"vanno assieme perché hanno i quadrati (stessa cosa come per i cerchi);
"vanno assieme perché hanno c'é scritto indica e indicare" (nel testo della consegna Adelmo scopre queste parole);
"vanno assieme perché hanno queste colonne";
ecc
commento
In questo caso quale allora la funzione del linguaggio? Quella di raggruppamento e descrizione logica? Oppure di descrizione di pattern?
28. automobiline
Tito, un bimbo di cinque anni e mezzo, gioca con i suoi compagni.
O forse sarebbe meglio dire che imita il gioco dei compagni ma sempre
agendo un po' in ritardo rispetto a loro. Giocano con il materiale
Lego.
Per esempio un compagno prende una automobilina e la fa viaggiare su
una stradina. Poi fa sembiante che sale in montagna. Con la voce fa
il rumore del motore.
Tito guarda imbambolato, poi, con un certo ritardo, rispetto il
compagno fa la stessa cosa, praticamente esattamente la stessa cosa,
ripetendo reiteratamente la serie di movimenti (ha guardato e
memorizzato bene la scenetta) - intanto il compagno ha continuato la
sua storia facendo viaggiare ancora l'automobilina, facendo
intervenire dei personaggi ecc
Intanto Tito funziona ancora a livello ripetitivo: fa i rumori della
automobile, muove il braccio in alto e in basso (cosa che continua a
fare per un minuto), ma senza costrutto simbolico. Per lui il gioco
consiste nel fare brum brum e muovere il braccio, il gioco stesso
é dire brum brum e muovere il braccio.
Non sa cosa fare d'altro, non ha nessun slancio creativo, il brum
brum e il muovere il braccio non sono legati a una storia ma fini a
sé stessi.
commento
Tito non sta giocando simbolicamente, non sta agendo una
storiella come il compagno, ma sta giocando con il corpo e la voce,
fa "azioni per ripetere" (reazioni circolari). Questo tentativo di
entrata in relazione di Tito con il compagno fallisce perché
questi non trova in Tito un interlocutore sul piano simbolico. Ma poi
che tipo di tentativo é?
E' interessante anche rilevare come tutto questo per Tito avviene
senza parole e suoni, tranne la onomatopea del motore. Il gruppetto
dei compagni, invece descrivono ciò che fanno, fanno proposte,
fanno parlare i personaggi, variano le onomatopee
Dopo questa scenetta Tito ne imita un'altra, sembrerebbe quasi che
sta per entrare nel gioco, ma finisce col ripetere la stessa dinamica
descritta con l'automobilina.
29. schemi
A una bambina di terza elementare ho proposto una schema di
raccolta di informazioni e dati che riguardava storielle e racconti
vari più o meno fittizi.
Dopo la lettura del testo la bambina era invitata a rispondere a
delle domande. Una serie di domande sempre uguale per ogni testo
differente. Sulla scheda, accanto a ogni domanda, avevo poi tracciato
delle righe, ciò a indicare lo spazio dove scrivere le
risposte.
Qualcosa di questo genere:
domanda 1
...........................................
domanda 2
...........................................
domanda 3
...........................................
domanda 4
...........................................
Questo tipo di esercizio, mirato a un
atteggiamento di ricerca attiva di indizi in un testo, e che speravo
potesse essere appreso e generalizzato, é stato esercitato per
una decina di volte, sino a quando un giorno consegno un nuovo
esercizio con lo stesso schema tranne che per l'indicazione delle
righe in cui scrivere. La variazione che avevo proposto era dunque
formata da un aspetto di occupazione del foglio, non avevo più
indicato dove il bimbo avrebbe dovuto scrivere le sue risposte.
Non l'avessi mai fatto. La bambina entra in crisi: "ah ma questo non
lo so fare, non so rispondere a queste domande, no no é troppo
difficile".
Ebbene cosa é successo? La bambina invece di porre delle domande che provvisoriamente adesso vorrei chiamare "domande cognitive" ha fatto delle "domande percettive". Invece di dire/chiedere: "non c'é lo spazio per scrivere, dove devo scrivere, posso avere un foglio per scrivere le risposte che qui non posso", ecc s'é bloccata di fronte la constatazione non espressa: "qui le righe non ci sono". Invece di fare una lettura legata alla comprensione del testo, ha fatto una lettura legata alla percezione dello spazio grafico del compito
commento
Se la domanda formulata é percettiva, cioè legata
alla disposizione sullo spazio del testo scritto é
perché il pattern esecutivo ha avuto il sopravvento rispetto
la comprensione del testo, oppure perché lo schema del pattern
esecutivo viene a fissarsi comunque su basi percettive ancora troppo
pregnanti. Sarebbe bastata una piccola ricognizione del tipo: ma
questo testo ha sempre le stesse domande. In verità la bimba
non ha prestato attenzione al tipo di domande ma alla loro
disposizione.
Un medesimo dispositivo di risposta, almeno
quello che io ritenevo fosse un dispositivo identico, si avvera
fuorviante per la bambina.
Sicuramente lei si é limitata ad osservare la disposizione
spaziale, per così dire, dello schema di domande e spazi dove
scrivere, non certamente il tipo di domanda. Se io pensavo di potere
generalizzare lo schema di domande la bambina ha solamente, per ora
generalizzato la disposizione spaziale. Per questo e non per altro
s'é bloccata di fronte al compito e solamente con un mio
intervento regolatore é riuscita ad ammettere ed accorgersi
che tutto era identico: certamente, sul piano cognitivo, non sul
piano percettivo.
30. relazioni
Chiedo a XY (in classe prima) di seriare una storiella di quattro
immagini. Precedentemente ho provato anche farle seriare storielle di
sole tre immagini. Purtroppo per il momento XY riesce a funzionare
solo a coppie - e ancora temporalmente non coerenti come vediamo
nelle due accoppiate seguenti - , vale a dire che propone una serie
successiva di coppie senza costrutto logico temporale. In questo caso
XY ha proposto le seguenti accoppiate dopo una lungo
riflessione.
primo accoppiamento prima immagine seconda immagine
XY dice: "la bambina
prende il disco,
vuole prendere il disco per
aprire la finestra" .
"Cosa é questo"? "E' un rotondo, la bambina prende il
rotondo".
Alla seconda immagine dice: "la bambina vuole prendere la palla".
secondo accoppiamento terza immagine quarta immagine
Qui XY commenta la terza immagine: "la mamma sgrida la bambina".
commenti
Immediatamente vediamo come per XY saper raccontare quanto
succede é difficile. La difficoltà linguistica é
apparente nei termini che usa: "disco", "aprire" (invece che rompere"
Non sa spiega perché, bloccata nell'argomentare
ulteriormente la scena.
Ecco l'estremo realismo, l'attaccamento stretto all'immagine, che non
é una palla. XY non riesce a nominarla. Inconsapevolmente ne
definisce la forma geometrica. Come R. Magritte che, di fronte al suo
quadro della pipa che fuma, afferma: "ceci n'est pas un pipe".
Certamente perché il disegno della pipa non é la
pipa.
Nessuna esigenza di coerenza temporale viene a mettere in crisi le
risposte i XY. La sola crisi che può vivere é quella
del docente che la mette in una situazione per lei ingestibile
Allora vediamo che:
- la bambina prende
- la mamma sgrida
La lettura é diretta, realistica. XY probabilmente ha problemi nella relazione con l'altro. Non agisce le relazioni, sia temporalmente nelle sequenze inverse, sia con i personaggi. Ciò che descrive é separato, alienato dalla relazione con gli altri.
31. nominare
XY sta controllando una scheda di calcoli. Le chiedo "quale stai
controllando?" Lei risponde: "questo", indicandolo col dito. Io dico:
"si ma quale"? "Questo". In seguito mi allontano di qualche metro per
scrivere un altro calcolo sulla lavagna. Le chiedo quindi: "adesso
quale calcolo stai controllando"? Io ho una copia della scheda in
mano. XY dice ancora "questo".
commento
Non sa dire se sta controllando il primo, il secondo, il terzo,
l'ultimo calcolo.
Il vocabolario è limitato all'indicazione spazio
percettiva.
"Il matematico Ta disegnò
davanti ai suoi scolari una figura molto irregolare e pose
loro il problema di calcolare la superficie. Essi
suddivisero la figura in triangoli, quadrati e circoli e
altre figure geometriche di cui si può calcolare la
superficie, ma nessuno riuscì ad indicare proprio
esattamente l'area di quella figura irregolare. Allora il
maestro Ta prese delle forbici, ritagliò la figura,
la mise sul piatto di una bilancia, la pesò e mise
sull'altro piatto un rettangolo facilmente calcolabile, da
cui tagliò via dei pezzi, finché i due piatti
si trovarono in equilibrio. Me-ti lo chiamò un
dialettico, perché a differenza dei suoi scolari, che
confrontavano soltanto delle figure tra loro, egli aveva
trattato la figura da calcolare come un pezzo di carta
avente un peso (risolvendo cioè il problema come un
vero problema, senza curarsi delle regole)". Bertold Brecht, Me-Ti. Libro delle
svolte, Einaudi 1970, pag. 53
Sovente si sente dire di questi bambini: "non
sanno ragionare".
Ebbene allora qual'è lo statuto del ragionamento,
qual'è lo spazio che comunque nella scuola si accorda al
ragionare?
Quante volte mascheriamo le nostre stesse incomprensioni e la nostra
ansia di fronte al bambino che non ci dà la risposta che noi
vogliamo?
Troppe volte poi crediamo di dare delle situazioni che favoriscono il
ragionamento, quando invece purtroppo non ci avvediamo che non
facciamo che riproporre ricorsivamente situazioni simulate dove la
risposta c'è già, solamente il bambino non la conosce
ancora. In verità quante volte non chiediamo ai bambini di
risolvere un problema, ma gli chiediamo di riprodurre uno script, di
darci la risposta che noi vogliamo?
"La banalizzazione diviene una panacea pericolosa quando l'uomo
l'applica a se stesso (
) Al momento in cui lo studente fa il
suo ingresso nel sistema scolastico, egli é una imprevedibile
"macchina non-banale". Non sappiamo quale risposta darà a una
certa domanda. Se però alla fine ottiene i risultati che il
sistema si aspetta da lui, le risposte che darà alle nostre
domande dovranno essere note in anticipo (
) I testi scolastici
sono un mezzo per misurare il grado di banalizzazione. Se lo studente
ottiene il punteggio massimo, ciò é segno di una
perfetta banalizzazione (
) Non sarebbe affascinante immaginare
un sistema d'istruzione che chieda agli studenti di rispondere solo a
"domande legittime", cioè a domande le cui risposte siano
ignote" 8)?
Quante volte poi l'ansia del bambino, ma pure
la nostra, quella del docente, hanno il sopravvento e lo spinge, ci
spinge, a dare sempre e comunque la solita soluzione, in mancanza di
altre possibilità?
Se la coazione a ripetere ha il sopravvento questa ha un significato.
Vuol dire che la percezione del compito, la percezione che il bambino
ha del compito, ma come pure la percezione che noi abbiamo degli
insuccessi del bambino, sono entrate in un circolo vizioso. La
percezione del compito induce alla ripetizione di copioni
precedentemente codificati, di copioni che in precedenza sono state
oggetto di un processo di insegnamento/apprendimento che aveva
ricevuto dei feedback in qualche modo positivi. Dei feedback che
spingono il soggetto a perseverare con un tipo di risposta assurto a
copione, a un modello che si può ripetere.
In verità si tratterebbe di operare un salto di gestalt. Si
tratta di valutare le azioni in gioco, si tratta di capire e vedere:
ma come valuto io?
Il problema dell'apprendimento è un problema di insegnamento.
Il problema dell'allievo è il problema del docente:
di-segnare, in-segnare
9)
Quello della sragionare è l'immagine della
ripetitività, dell'applicazione indeterminata di una
modalità, di una soluzione a tutte le situazioni che sembrano
uguali. E' pure l'immagine di una impossibilità: quella di
raggiungere nuovi superiori traguardi.
Ma allora di cosa parliamo e di chi parliamo? Dell'allievo o di
noi?
Appare evidente allora che la stessa scuola, senza avvedersene,
chiama i bambini a funzionare in modo senso motorio. Ci mancherebbe
che non lo faccia! Lo scrivere deve diventare un processo automatico,
ripetitivo, senza pensiero nella sua veste ortografica. Il calcolare
ugualmente: un calcolo scritto, una divisione, una addizione devono
essere effettuate senza intoppi, il loro algoritmo deve funzionare
senza pensieri.
Una immagine: un uomo seduto alla tastiera. Video, processore,
hardware, ecc
l'apparato meccanico, fisico, realizza i calcoli
aritmetici, le dita schiacciano i tasti, al video appaiono segni
grafici, immagini, ecc
addirittura faccio fare una correzione
ortografica automatica. Si scrive "l'uomo infila l'ago" oppure
"l'uomo infila lago". Il computer è fermo. L'uomo pensa.
Scorporiamo dunque la parte tecnica da quella riflessa.
Gli apprendimenti meccanici saranno certamente una parte del compito
dell'insegnante. Compiti legati agli automatismi, non legati
all'intelligenza.
Le macchine possono calcolare. Di conseguenza il calcolo è la
forma più bassa d'intelligenza. Tutto ciò che si deve
imparare meccanicamente è pregiudizio, non è
conoscenza.
La conoscenza comporta degli aspetti soggettivi, dei significati
personali, oltre che un significato esterno.
La difficoltà dell'insegnamento semmai
sta nel distinguere. Nel separare le necessità ripetitive
(immaginate una tennista come Serena Williams o Martina Hingins senza
automatismi) dalle necessità riflessive, creative.
Distinguere: per meglio capire come realizzare progetti che possano
portare il bambino ad imparare e imparare ad imparare; distinguere:
per avviare progetti che lo portino a staccarsi dal dato
percepito.
La difficoltà sta poi quando queste necessità di
ripetitività vengono a generalizzarsi in maniera non
appropriata.
E' quanto sono andato osservando a scuola con i modi di fare e di
trattare la realtà, con i modi di apprendere, o con i modi
di concepire l'apprendimento che possono essere descritti o
definiti come senso motori o percettivi, o percettivo-senso-motorio
10).
Vale a dire modi dove il soggetto agisce sulla ripetitività,
sulla percezione delle configurazioni, sul copiare delle immagini o
delle azioni nella maniera più fedele (realistica) possibile.
Constateremo allora come delle Gestalt quasi archetipiche, dei modi
di fare vengano assunti a modelli difficilmente intercambiabili;
"buone forme" (si fa per dire) poco generative
11)
Eppure quante volte possiamo dire di essere di fronte ad una
attività veramente generativa?
Intanto sappiamo che l'eccesso di prescrittività del curricolo
e degli insegnamenti possono portare a risultati fallimentari
dell'apprendimento. Infine la costante, immediata, regolare e
puntuale
valutazione degli apprendimenti, specie se fatta agli inizi, porta i
bambini alla paura e influisce su di loro spingendoli a muoversi in
modo non creativo.
La domanda a sapere quanto la scuola deve
lavorare sul prodotto e quanto sui processi è di fondamentale
importanza. La scuola si presta per sua natura ad insegnare
(trasmettere) tutta una serie di risposte e comportamenti a
variazioni ambientali sotto controllo. Tutto il programma consiste in
una successione di variazioni controllate dei dati da presentare agli
scolari. Il programma scolastico si presenta come una sistematica di
obiettivi e proposte, una didattica tesa ad ottenere e fornire delle
risposte, piuttosto che teso alla creazione di divergenze e alla
formulazione di domande aperte.
Le proposte fatte dai docenti hanno già le risposte. E tali
risposte sono necessarie per il normale svolgersi del programma. Il
programma, senza le risposte attese, non può certamente
svolgersi. Quelle risposte sono importanti affinché il
programma non venga ad arenarsi su scogli imprevisti
Questo
almeno lo svolgimento auspicato, che non è certo esente da
scottature possibili, ed anche auspicabile almeno per una parte.
Certamente che il programma scolastico deve fondare sulle risposte il
suo modo di essere: lo scolaro deve ben dimostrare di saper
rispondere alle esigenze normative della scuola, ma deve sempre farlo
anche nel suo modo di agire?
Ma la focalizzazione sulle risposte necessarie , vale a dire
l'eccessivo peso dato all'apprendimento di script fissi per
situazioni statiche e controllate è forse la causa principale
che porta sovente le difficoltà a lavorare sui processi
12).
Quante volte possiamo dire che la scuola lavora sui processi mentali quali:
oppure sul ascolto o sulla fissazione di
immagini interiori 13),
ma ciò in maniera specifica?
La scuola ha una visione essenzialmente o elettivamente cumulativa
del processo di apprendimento, e forse talvolta solo quantitativa.
Lavora sulle conoscenze, ma con le conoscenze quali contenuti da
trasmettere e accumulare. Propone programmi di complessità
crescente (nel senso che si costruisce su di una successione di
insegnamenti che diventano dei pre requisiti per quelli successivi,
come per esempio nelle competenze di calcolo, o di scrittura). Un
apporto qualitativo teso ai processi e alle strutture del pensiero
sembra mostrarsi adesso nei suoi valori più che complementari
Vediamo quindi come spesso l'insegnamento sia
una azione di tipo "imperativa", vale a dire che dice all'allievo
come deve svolgere una determinata cosa
Von Foerster dice anche che sovente confondiamo segnale ed
informazione. L'informazione, afferma, non sta nell'oggetto (che sia
un libro, una video) ma nel azione (computazione) che il soggetto fa
su di loro. L'informazione deriva dalle operazioni che il soggetto
svolge sull'oggetto.
Spesso succede allora che un bambino in difficoltà, il bambino
che non sa ragionare, si comporti come una "macchina
comportamentismi". Dove, questo bambino in difficoltà,
funziona correttamente solamente con un linguaggio imperativo,
cioè dove l'informazione é uguale al segnale
14).
In fondo si propone costantemente un paradigma di tipo neo
comportamentista. Si tratta di "abbandonare quella strategia che ci
spinge a cercare tra gli oggetti al di fuori di noi per adottarne
un'altra che ci permetta di andare alla ricerca di processi dentro di
noi 15).
livello dell'intelligenza e strutture dell'intelligenza
A scuola tutti sono concordi. Un allievo viene
descritto come molto intelligente l'altro meno, un terzo é
svogliato e il quarto non capisce niente, un quinto é debile.
Tutti sono quotidianamente concordi nell'utilizzare queste etichette,
e apparentemente sono in situazione di doverle utilizzare
regolarmente. Ma queste non sono categorie psicopedagogiche che
descrivono oggettivamente l'allievo, sono piuttosto l'espressione di
una soggettiva e implicita idea che la riuscita scolastica sia
correlata con un livello d'intelligenza. Possono pure essere segno di
una difficoltà del docente a cogliere le difficoltà
evolutive di un allievo. Difficoltà che viene inconsciamente
rimossa o mascherata da una azione di etichettatura dell'allievo.
Etichettatura che solleva il compito del docente di trovare soluzioni
in quanto dando una spiegazione para scientifica di quella risma,
reifica una origine interna al bambino, una irreversibilità,
una impossibilità alla modifica, "non ci si può fare
niente, ho già provato io" (con un lapsus avrei scritto
etichettadura, perché quando l'etichetta c'é,
marca poi duramente e lungamente il curricolo dell'allievo).
Ma ecco che quando si deve definire l'intelligenza questa concordia
scompare.
Purtroppo la conoscenza (infarinatura) dello
sviluppo del bambino, la conoscenza del suo sviluppo epistemico (come
la conoscenza dello sviluppo affettivo, libidico e sessuale), non
riesce sempre e automaticamente a portare la scuola e la pedagogia
reale a una reale comprensione e applicazione concreta di quanto la
psicologia dello sviluppo ha potuto produrre come comprensione degli
stadi, delle funzioni, delle dinamiche e così via dicendo.
Non é facile riuscire a capire e situare un errore di
ragionamento (di un bambino o di un adulto) all'interno di un
percorso evolutivo. Un percorso che ha i suoi décalages, le
sue spinte, le sue accelerazioni, le sue resistenze, le sue
motivazioni, i suoi blocchi, le sue ansie e così via
Per capire le difficoltà di ragionamento
di un bambino, fra altre cose bisogna sapere ben distinguere quello
che é il livello d'intelligenza da quelle che sono le
strutture dell'intelligenza. Almeno, questo può essere il
primo passo sulla strada della comprensione delle difficoltà
di un allievo. Il secondo, ma non per ordine di importanza e nemmeno
cronologico, essendo poi quello della valutazione affettiva, della
motivazione, dell'ansia, dei fantasmi, ecc
Livello d'intelligenza e strutture dell'intelligenza non sono
assolutamente la stessa cosa e non sono automaticamente correlate. In
verità possiamo avere differenti problematiche legate alle
competenze e alle strutture dell'intelligenza.
Fondamentalmente possiamo avere 4 tipi di profili:
QI strutturazione
++
+-
- +
- -
Ognuno di questi "profili" corrisponde a una
tipologia che andrebbe ben compresa e definita 16).
In verità se la scuola crede (talvolta) di intervenire sulle
strutture del ragionamento, in realtà invece interviene sempre
e volentieri sui contenuti.
Ebbene, detto questo, sappiamo anche che oggi
nella scuola non si tratta più di perorare la causa delle
differenziazione dei programmi. L'idea di percorsi d'apprendimento
personalizzati é ben accetta. Ciò che non é in
chiaro e come si deve differenziare e cosa si deve differenziare
17).
In prima approssimazione possiamo considerare che se l'idea di
differenziare si sviluppa, questa non tocca i programmi o le
modalità di azione dell'allievo, non tocca le sue strutture
della conoscenza. Affronta solo i programmi senza modificarli ma
permettendo all'allievo un suo incedere personale. Ciò che si
differenzia é la velocità, il ritmo di acquisizione
E questo é un primo importante passo. Ma a condizione di non
fermarsi li. Appare appunto evidente che tale prassi é di per
sé insufficiente; e ciò quando non si avvede che qua
é la, sparsa sul suo sentiero, incontra delle resistenze
Non vorrei che tutta l'idea della differenziazione si
banalizzi nella antidemocratica, fatalista dimissione. Lasciare un
allievo al suo punto d'arrivo 18)
lasciare un allievo marciare al suo ritmo senza far nulla per
modificarne il livello di motivazione e di aspirazione. Senza
affrontare le sue intrinseche difficoltà.
Da un lato, se si accettano i bambini disadattati, se si attua una tolleranza rispetto le loro difficoltà sviluppando un programma differenziato, succede che queste stesse difficoltà vengano annullate ad ogni salto di classe. Vale a dire la promozione a una classe successiva non comporta una continuità nel percorso dell'allievo che si ritrova a dover attuare degli apprendimenti che cominciano senza tener conto del suo percorso precedente.
D'altro lato accettando questa prassi di dare
dei materiali differenziati (più facili, o di livello
inferiore) ci si muove sempre e preferibilmente sulle conoscenze, mai
sulle strutture, o sui "contenitori".
E' un problema grosso grosso questo qua. Che fare con un bimbo che
non sa ragionare? Basta modificare l'entità delle cifre di un
problema aritmetico (invece che 500, 50, oppure 5)?
Sarebbe un po' come svilire tutto quanto un soggetto deve saper
mettere in atto per risolvere un problema.
Esempi:
Allora dovrebbe apparire in qualche modo l'idea che si deve ben intervenire sulle strutture, che se un bambino presenta difficoltà di ragionamento non basta dargli materiali più facili, non basta differenziare e non fare nulla d'altro
5. Costanti e variabili: variabili
Variabili invece sono le risposte, gli elementi di lettura e le ipotesi che potremmo sviluppare di fronte ad un insuccesso. Variabili perché in un contesto pratico, concreto dovranno riferirsi alla particolarità di ogni situazione. Variabili che si possono applicare ad ogni singolo esempio descritto in precedenza. Di volta in volta le situazioni descritte precedentemente potrebbero essere messe in luce con un concetto piuttosto che un altro.
a) Bersagli
"Me-ti disse: Ogni maestro deve
imparare a smettere di insegnare, quando ne é giunto
il momento. E' questa un'arte difficile. Pochissimi sono in
grado di farsi sostituire, a tempo debito, dalla
realtà. Pochissimi sanno quando hanno finito di
insegnare. Certo é duro stare a vedere come lo
scolaro, dopo che si é tentato di risparmiargli gli
errori che abbiamo commesso noi stessi, ormai fa proprio
quegli errori. Se é brutto non ricevere consigli,
altrettanto brutto può essere non avere il diritto di
darne". Bertold Brecht, Me-ti. Libro delle
svolte, Einaudi 1979, pag. 66
Il bersaglio di queste righe è dunque duplice e ambivalente la riflessione sullo sragionare a scuola. Chi stiamo osservando, a chi rivolgiamo le nostre attenzioni, quali sono i soggetti del nostro riflettere?
Evidente appare la doppia valenza di queste
osservazioni sulle difficoltà del ragionare e sull'errore,
come pure le riflessioni ad esse rapportate.
Stiamo parlando dell'allievo che non sa ragionare, che ripete
meccanicamente sempre le stesse vecchie soluzioni a contesti nuovi
certamente siamo partiti da li. Ma pure possiamo considerare
che l'oggetto del nostro riflettere non siano i bambini, ma il
docente stesso, noi stessi, quando dobbiamo modificare la nostra
lettura di una situazione e modificare le risposte che abbiamo
generalizzato arbitrariamente, forzando soluzioni che non fanno altro
che perpetuare la nostra ansia di fronte l'allievo che non riesce;
come perpetuano pure lo scacco delle nostre soluzioni.
Quando le soluzioni stesse diventano il problema
19)
Chi
lo fa lo aspetti, questo il titolo di questa riflessione,
certamente perché chi fa un errore può certamente
aspettarsene un altro.
b) Tappe
Come mai un bambino non ragiona? Partiamo da
questa domanda. Ci sono allora almeno tre facce, tre aspetti da
investire, tre tappe da effettuare quando ci si trova di fronte un
errore.
La prima cosa da fare sarà di individuare il tipo di pensiero
che regge la risposta a un dato problema e farne la lettura; saperlo
fare e sapere inserire il comportamento in un quadro di coerenza
interna (al soggetto). E' questo un problema epistemologico. Si
accompagnano con esso un problema metodologico ed uno
affettivo.
Attenzione però alla natura dell'errore. Non trattiamo dell'errore di computazione. Trattiamo degli errori di ragionamento.
Errore di computazione
Es.:
30 + 20 = 40
gato con una "tErrore di ragionamento
Es.: gioco a bilie con Carlo. Carlo ne vince 7 ed io ne avevo 12. Alla fine quante bilie mi rimangono?
7 + 12 = 19Gli errori di computazione si distinguono nella loro natura da quelli di ragionamento. Si basano sul controllo ripetitivo di tecniche e competenze che vengono applicate nei ragionamenti.
1) A) un problema epistemologico
Si tratta dunque di leggere l'errore del bambino, capire come mai lui ha prodotto proprio quel tipo di risposta, perché ha proprio eseguito un compito in quella data maniera (ricordo comunque ancora che non stiamo pensando adesso a degli errori di tipo computazionale (tipo 8 + 3 = 12, oppure di un errore ortografico, competenze queste che si riferiscono a competenze meccaniche, ripetitive e non a delle capacità di ragionamento).
Se il bambino da una data risposta é perché tale risposta sottostà a un suo preciso schema, corrisponde a una sua precisa idea (più o meno spontanea, o appresa), si riferisce a un modello che ritiene corretto, ed é il modello che lui possiede che lo porta a tale "errata" conclusione". E' espressione di un dato livello, o di uno stadio specifico nell'acquisizione delle strutture di pensiero relative a quel campo scientifico. La conclusione del soggetto, la riposta che formula nei confronti del "problema", si basa proprio su quel modello interiorizzato e non può essere altro senza modificare il modello stesso. L'elaborazione di una altra risposta implica la elaborazione di un altro modello. L'elaborazione di un altro modello implica la ri-elaborazione della situazione problema.
Saper leggere dunque, saper fare una lettura delle risposte del bambino, questo il primo passo da svolgere. Ma saper fare una lettura evolutiva, una lettura che sappia inserire quel dato comportamento in un quadro di riferimento esplicito; che sappia cioè inserire un dato risultato in un modello di riferimento evolutivo ed anche epistemico.Non si può continuamente rinviare l'incontro con le teorie del soggetto. E' vero che la scuola deve pur portare lo scolaro alla scoperta delle soluzioni che esse vuole, che deve portare lo scolaro a ripercorrere il programma. Ma non si può ignorare quanto di soggettivo (e comunque di attivo 20)) lo scolaro propone continuamente La scuola (ma pure il genitore e l'allievo che sono però inconsapevoli) in verità continua a definire "errore" ciò che in verità dovrebbe essere definito come "idea primitiva", oppure "concetto di base", ecc una teoria o rappresentazione del soggetto, una teoria più o meno spontanea, una teoria forse ingenua, ma che risponde a una concezione che il bambino è andato sviluppando spontaneamente o in classe.
Non tenere conto delle teorie spontanee e delle modalità di ragionamento dell'allievo comporta uno scollamento, magari crescente, tra teoria insegnata e possibilità del soggetto a generalizzarla.Sapere, capire perché un bambino si accanisce, si fissa su di una modalità, quali sono i nodi; scoprirne la "vischiosità" 21), un blocco, che sia percettivo o rappresentativo, una difficoltà legata alla permanenza dell'oggetto, una immaturità epistemica (Come meravigliarsi, ad esempio, di fronte le difficoltà in geometria - quella insegnata alle scuole elementari é notoriamente euclidea - con un bambino fisso a uno stadio topologico? ). Ecco quanto fare in questa prima tappa. Ma sapere, capire perché un bambino si accanisce, si fissa su di una modalità, ci porta pure ai blocchi affettivi.
B) ma pure epistemofilico
L'intelligenza quale manifestazione di rappresentazioni, investita di passioni, invischiata in catene associative, sottomessa alla compulsione di ripetizione e al principio di piacere, é notoriamente collegata all'universo inconscio, dove si lega e si slega ai movimenti pulsionali e ai giochi del fantasma. I meccanismi di identificazione, di identificazione proiettiva, di transfert e di contro-transfert dominano alla grande ogni tentativo di crescita e di autonomia La spinta epistemica, l'origine epigenetica dove traggono linfa se non dallo spazio transizionale che l'allievo crea tra sé e il mondo, tra sé e il docente
2) un problema metodologico
Si tratta di operare una modifica radicale nel sistema di trattazione dei dati. Da una modalità percettiva, di riproduzione, potremmo pure dire di copia, dei risultati (come possono essere quelle del calcolo aritmetico o dell'ortografia) si tratta di passare a una modalità che tenga conto dei processi.
Ciò significa tre cose:
la prima è che non devo più solamente guardare le soluzioni (percezione diretta dei dati presentati). L'osservazione di ciò che io faccio va al di là di quanto sto ottenendo ma deve proprio portare su quello che sto facendo. In questo senso, se osservo la modalità, non mi posso più basare solamente sui dati sensibili (come poteva essere la soluzione erronea, fissata nero su bianco).
E' questo il secondo significato: che dalla percezione passo all'evocazione, in quanto le operazioni svolte dal soggetto - in quanto eseguite - escono dal dato percettibile ma rientrano in quello dell'evocazione
Terzo significato. Ricordate le conservazioni? Che si tratti della sostanza, dei liquidi, del peso, della quantità numerica, ecc il bambino dà una risposta operatoria quando riesce a staccarsi dal dato percettivo (i livelli d'acqua differenti, l'apparente maggiore numerosità di perline allargate, ecc ) e sa dire, per esempio, "non é cambiato niente perché non ho tolto nulla e non ho aggiunto nulla". Per il bambino questo é certamente una questione epistemico. Il bambino dà quella risposta perché il suo livello lo porta a ciò. Ma quanto è epistemico per il bambino (deve diventarlo anche per il docente, come visto nel punto precedente) deve diventare metodologico per il docente.
Il problema per il docente é metodologico. L'esempio delle conservazioni ci deve far riflettere sulle domande che poniamo ai bambini. Queste vertono sulle soluzioni: "dimmi cosa hai trovato"; oppure vertono sui processi: "dimmi come hai fatto", o "dimmi cosa hai fatto". Questo é un salto molto grande perché troppo sovente siamo basati sulla soluzione.
anzi probabilmente l'indagare sulle modalità potrà pure a illuminarci sulle teorie (l'epistemologia) del bambino.
La concezione dell'insegnamento, la concezione reale, quella praticata quotidianamente, é una concezione delle relazioni allievo-docente basate sulla ripetizione e l'imitazione delle soluzioni e degli script. Di convergenza delle rappresentazioni spontanee verso modelli sovente impliciti, di scarsa sperimentazione e di povero confronto argomentato3) un problema affettivo
Un ragionamento costa. Costa energie e costa ansia: nella gestione dello stesso, nell'attesa della risoluzione, nell'attesa della risposta del docente, nella paura della sua reazione
Si tratta di gestire l'ansia che un ragionamento può costare per un bambino. Cosa dire di una situazione come quella che vediamo nelle figure riportate dall'esempio numero 30. Di fronte a una attività di argomentazione di quella storiella non esistono soluzioni preconfezionate, non c'é il solito modo d'uso. Si tratta di elaborare delle ipotesi verosimili, di raccontare una storia, un piccolo avvenimento che nulla ha a che fare con le soluzioni giuste o sbagliate.
Il dare sempre e solitamente la stessa risposta (vedi ad esempio un problema aritmetico) risponde a una necessità; quella dell'abbassamento dell'ansia che ogni situazione "problematica" comporta.
Ripeto cioè qualcosa che (sbrigativamente e in apparenza) mi rassicura, che non mi pone problemi che mi toglie la paura di non saper rispondere, che toglie la paura della reazione del docente (quando sbaglio), che mi sbarazza rapidamente dalla tensione legata al ragionare
La natura dell'errore é sempre valutata nella sua dimensione cognitiva e troppo poco in quella affettiva.
Questa dimensione è fondamentale, specie perché quella apparente sicurezza che manifesta l'allievo quando ripete sempre le stesse soluzioni rischia di diventare una coazione a ripetere di stampo masochista (del tipo: ripeto comunque ciò che si avvera regolarmente sbagliato). Entriamo quindi in un mondo di forti insicurezze.
Il costo che comporta il ripetere qualcosa che si rivela regolarmente sbagliato deve essere sicuramente molto alto. In verità per l'allievo si avvera molto più costoso gestire la reazione dell'adulto. E' molto più difficile gestire l'errore che la riuscita. E' molto più difficile gestire le reazioni dell'altro suscitate dal mio (magari ripetuto) errore che quelle suscitate dalla mia riuscita. E' pure molto più difficile gestire le emozioni e le reazioni che sgorgano dal mio inconscio Queste sono le situazioni tipiche che infiammano il contro- transfert aggressivo del docente che si sente messo in gioco, si sente colpito narcisisticamente dalle ferite inferte dall'allievo "stupido"
L'onere principale dell'errore non è la sua trattazione meccanica, epistemica, è la sua trattazione dinamico- affettiva.
Bisognerà lavorare sull'errore, la sua natura, la sua gestione e la legittimità che ha in un contesto evolutivo e che deve avere in un contesto di apprendimento come quello della scuola.
Parole chiave
"Si sa con quale profitto le nazioni
scrivano la propria storia. Lo stesso profitto lo trae anche
l'individuo singolo che scriva la propria storia. Me-ti
diceva: Che ognuno diventi il suo proprio storiografo,
allora vivrà con maggior cura e maggiori
esigenze". Bertold Brecht, Me-ti. Libro delle
svolte, Einaudi 1979, pag. 106
La mente umana possiede una capacità organizzatrice che permette al soggetto di interagire con l'ambiente. L'apprendimento non è correlato unicamente alla maggiore o minore esposizione agli stimoli esterni, ma pure allo stadio evolutivo del soggetto. Alcuni concetti possono aiutarci a condurre le riflessioni epistemiche e psicopedagogiche.
linguaggio
In una vecchia ricerca
22) era stato
riscontrato una forte correlazione tra deficit verbale e deficit
figurativo. E' frequente osservare che i bambini che "non sanno
ragionare". Possiedono pure poche competenze argomentative. Il
linguaggio, per loro, tende ad avere piuttosto una funzione
descrittiva della qualità fisiche degli oggetti e della
realtà, una funzione di fotocopia della realtà. Usato
in una veste che direi realistica, dove a dominare non sono le
funzioni comunicative, quanto piuttosto quelle prescrittive ed
imperative. Il linguaggio serve cioè ad impartire ordini, a
descrivere un oggetto o degli algoritmi, ecc
Secondo Vygotskij il pensiero non è altro che una interiorizzazione dell'interazione sociale. La qualità delle relazioni gioca un fattore determinante. Su questa linea Bruner afferma che è importante aiutare il bambino a nominare (vedi per esempio l'esempio numero 5, oppure n° 32) ciò che trova nell'ambiente e ad orientarsi nel tempo. L'insegnamento risulta facilitato dal linguaggio verbale che non è soltanto un mezzo per lo scambio, ma è lo stesso strumento che il soggetto utilizza per organizzare la realtà. Imparare parole, fare frasi corrette, non significa solo usare in modo corretto, il vocabolario, l'ortografia, la sintassi, ecc , significa principalmente imparare ad organizzare la realtà.
memoria
E importante distinguere due aspetti della memoria di:
1. ricognizione o riconoscimento: consapevolezza che un oggetto
percepito è già conosciuto, che fa parte della propria
esperienza. Gli indizi di riconoscimento sono generalmente quelli che
fanno parte della percezione. Con la permanenza dell'oggetto solo una
parte dell'oggetto può portare al suo ricordo.
2. evocazione: rappresentazione mentale di un oggetto o evento con la
consapevolezza di richiamare una esperienza precedente. In situazione
può evocare, anticipare un effetto in base alla memoria legata
all'esperienza. L'evocazione si fa in totale assenza dell'oggetto o
dell'esperienza.
tentoni (attività per tentativi ed
errori) Tatonnement
Le attività per tentativi ed errori sono attività di
sperimentazione, di ricerca. Si distinguono tra quelli:
non sistematici,
non diretti o semi diretti,
fortuiti, dove la scoperta della soluzione avviene per caso.
Si parla di attività per tentativi ed errori sistematiche o
dirette quando queste ultime sono illuminate dagli schemi precedenti
che conferiscono dei significati alle scoperte fatte, quando
c'è un legame causale tra azione e d effetto.
permanenza dell'oggetto
La permanenza dell'oggetto è la nozione del possibile
ritorno al punto di partenza di ogni modifica del reale. E'
fondamentale e indispensabile alla costruzione di qualsiasi
teoria.
Non esiste una teoria dell'oggetto senza la sua permanenza,
poiché altrimenti tutto apparirebbe come una modifica dello
stato dell'oggetto.
Senza permanenza non c'è vera conoscenza. Quale conoscenza
dell'oggetto, quale scienza se tutto si modifica e si basa
sull'apparenza che tutto si
modifica?
immagine mentale
L'immagine mentale è in qualche sorta una sostituzione
interiorizzata dell'oggetto, una imitazione interiorizzata. In questo
è prodotto di un atto d'intelligenza. Per Piaget consiste
però sempre in una rappresentazione di stati e non di atti
(questi figurati solamente come una successione d'immagini statiche).
Non funge da strumento di conoscenza, della quale non sarebbe che un
significante o simbolo.
L'immagine non è la prolungazione della percezione (del
percetto) ma dell'attività di percezione.
L'immagine mentale richiama la distinzione degli aspetti figurativi e
degli aspetti operativi della conoscenza (vedi ancora in
seguito).
percezione
La percezione è un atto intelligente, è un atto
selettivo (delle qualità e di una proprietà che un
oggetto può avere ne vengono sempre scelte alcune. Non
è un mistero che le ipotesi del soggetto guidino le sue
percezioni). Le percezioni non sono elementi indipendenti
dall'intelligenza: sono invece un risultato dell'attività
intellettuale 23).
In epistemologia genetica la percezione è considerata sempre
come una percezione di schemi e non solamente di oggetti; e la
percezione appare anche come una elaborazione o applicazione di
schemi, vale a dire come l'organizzazione di dati sensoriali in
funzione di un atto o un insieme d'atti.
La visione non é una registrazione meccanica di elementi, ma l'afferrare strutture significanti; la percezione é anche pensiero, ogni ragionamento é anche intuizione, ogni osservazione é anche invenzione. Vedere qualche cosa significa assegnargli il suo posto nel tutto. Se il vedere é afferrare strutture, allora vedere significa scoprire, riscoprire, comprendere o costruire delle strutture. Alla base della percezione sta sempre una ricerca, quindi un atto cognitivo.
ansia (e paura della risposta)
E uno stato di incertezza con prevalenza dei sentimenti di timore.
Rispetto l'insegnamento e l'apprendimento come non vedere la paura
rispetto le reazioni dell'altro (per esempio di fronte un eventuale
errore e la sua ripetizione regolare)? Ma come non vedere l'ansia per
qualcosa di sconosciuto, poco chiaro, incompreso (un apprendimento)?
Una richiesta (quella del docente) carica di aspettative quanto di
pressioni e una incomprensione della domanda? La gestione di una tale
carica può essere risolta nella scarica immediata. Oppure
c'è la capacità di mantenere il proprio Io in uno stato
di indeterminazione, di attesa? La ripetizione di comportamenti
acquisiti, una ripetizione generalizzata (coazione a ripetere) anche
in maniera non appropriata, deve essere vista come tentativo di
scarica dell'ansia. Le risposte date si basano su di:
Tra l'altro in questi casi potremo constatare probabilmente delle reiterate confusioni tra ciò che è possibile e ciò che è necessario 24).
azione e rappresentazione
Piaget parla di rappresentazione e di pensiero a partire dal
momento in cui la soluzione dei problemi utilizza la funzione
simbolica che aggiunge così un sistema di schemi concettuali
agli schemi senso motori.
Con essa si evocano oggetti assenti o azioni non (ancora) eseguite.
Per Piaget la rappresentazione comincia solo quando nessun indizio
percettivo viene a inficiare la credenza nella permanenza. Tratta
della differenza tra significanti e significati.
In psicanalisi (ma non solo) si trova una
distinzione fra rappresentazione di cose e rappresentazione di
parole. Questa é pure una distinzione evolutiva, nel senso che
la rappresentazione di parole é tardiva rispetto la prima.
Se la prima é una traduzione di oggetti in una immagine
mentale più o meno fedele, la seconda é già un
organizzazione della realtà. Non é una semplice
traduzione della realtà, quale potrebbe essere la traccia
sonora. Il linguaggio non é una sola traduzione sonora, fonema
dopo fonema, di un oggetto, cioè una trascrizione fonetica
della realtà. Che dire altrimenti degli avverbi, degli
articoli, dei tempi verbali, ecc
gioco simbolico
Il gioco simbolico si distingue da altre forme come per esempio un
gioco senso-motorio o un gioco di regole. L'immagine evocata
mentalmente o l'oggetto che sostituisce una classe d'oggetti o
d'azioni è sottoposta ad una attività personale, libera
e senza limiti o costrizioni. Si definisce per la continuità
dell'azione e dell'immaginazione. Il gioco primitivo invece si
confonde con le condotte senso-motorie, come attività che non
abbisogna di ulteriori accomodamenti e che si riproduce per piacere
funzionale.
attività senso-motoria
Attività determinata da stimoli sensoriali, percettivi.
Attività che fa intervenire la percezione, le attitudini, il
tono e i movimenti. Basata sulla manipolazione di oggetti, invece
della parola e dei concetti, utilizza degli schemi di azioni.
L'intelligenza senso motoria sa risolvere problemi pratici senza
necessità di utilizzare il linguaggio. E' importante rilevare
che questa é una intelligenza pre- verbale. Trae la sua
origine tra le esperienze che si fanno prima dell'avvento del
linguaggio.
esperienza o attività funzionale
Attività che mette in gioco se stessa.
Lo scopo di una azione non è altro che quello di mettersi in
gioco, di fare esperienza della funzione. Si tratta di ripetizioni
basate sulla ricognizione dell'atto.
vischiosità
Con questo termine 25)
si fa riferimento
all'impossibilità del soggetto ad abbandonare i dati
percettivi nella valutazione di un problema. Il soggetto si manifesta
insicuro e altalenante tra due tipi di risposte, una più
evoluta dell'altra, senza mai però raggiungere definitivamente
e stabilmente il livello superiore. Il soggetto opera delle
costruzioni parziali e si cristallizza in stadi intermedi o primari
circoscritti. Le attività sono poi poco argomentate,
c'é impermeabilità dell'esperienza, vale a dire che il
primato percettivo resta difficile da abbandonare. Tutto ciò
formerebbe a definire una "mentalità" dove l'operazione
mentale non otterrà mai (o solo parzialmente) il primato,
rispetto il primato percettivo che non verrà mai a cadere
totalmente.
coazione (a ripetere)
Si tratta di fenomeni ripetitivi, (in genere in psicopatologia si
parla di atti spiacevoli), della ripetizione di un pensiero o di una
azione. Basata sugli istinti è un processo automatico. Il
soggetto si pone sistematicamente in una situazione penosa, ripetendo
sempre il solito comportamento e dimenticandone il prototipo.
L'impressione del soggetto è che la sua risposta sia invece
pienamente motivata nella situazione che sta affrontando.
reazioni circolari
Il concetto di reazione circolare tratta della riproduzione
attiva di un risultato ottenuto. La ripetizione di una condotta
diretta a uno scopo (ottenere un dato effetto o risultato), oppure
per mantenere o riscoprire il medesimo risultato (esempio del "fate
come me" riportato negli annessi). Si possono differenziare queste
reazioni in: primarie, secondarie, terziarie. Le prime trattano della
scoperta e conservazione del nuovo senza che ci sia una
intenzionalità del soggetto. Il soggetto ripete delle azioni
per il piacere di farlo. Le seconde portano interesse ai risultati
(non alle azioni) che cercano di ripetere. Le terze sono delle vere e
proprie piccole variazioni per vedere "che effetto fa".
Le reazioni differite implicano invece la memoria. Si tratta di
azioni interrotte e poi riprese dal soggetto senza che intervenga
più il fattore scatenante.
Per vedere alcune utilizzazioni esplicite delle reazioni circolari
vedi allegato A.
reversibilità ed operazioni
La reversibilità è la capacità di compiere
una operazione mentale o di svolgere una attività che a questa
si colleghi in un senso opposto, ma avendo coscienza che si tratta
della stessa cosa. Si parla allora di operazione diretta e di
operazione inversa. Ma una operazione è tale proprio
perché è coordinata con l'altra e viceversa
La reversibilità vera è la scoperta dell'operazione
inversa.
Si distingue dalla rovesciabilità.
L'operazione è una trasformazione coordinata e reversibile da
una struttura ad un'altra. E' tale perché svuotata dalle
percezioni.
A questo proposito vorrei rilevare un errore persistente che trova fondamento negli stessi programmi della scuola e nelle definizioni degli algoritmi aritmetici. Sono le stesse quattro operazioni (addizione, sottrazione, moltiplicazione, divisione) ad essere definite in maniera inappropriata. Tutto sono, o possono essere, tranne che delle operazioni.
Tabella A: s- Ragionamenti
S- RAGIONARE: concetti da tenere presente per l'osservazione e la valutazione delle ridondanze di allievi e docenti
- AZIONE &endash; RAPPRESENTAZIONE
- LINGUAGGIO
- SIMBOLICO
- REAZIONI CIRCOLARI
- REVERSIBILITÀ'
- PERMANENZA (dell'oggetto)
- TENTONI
- ANSIA
- COAZIONE A RIPETERE
- ATTIVITÀ' o ESERCIZIO FUNZIONALE
- MEMORIA
- STADIO
Cosa è che definisce in effetti
l'operazione? Come visto certamente la reversibilità. Il
fatto, cioè, che a partire da una situazione di partenza poi
modificata, io posso tornare all'origine. Pensiamo alle
trasformazioni e ai concetti di sostanza, peso o volume, pensiamo
alle conservazioni, ecc
il bambino è operatorio quando
conserva i concetti ricordati, e quando sul piano logico sa come
tornare alla partenza. Eppure i quattro algoritmi aritmetici vengono
chiamati operazioni, favorendo la confusione tra la percezione
dell'algoritmo, la sua effettuazione e riuscita con il concetto di
reversibilità 26)
Ancora una volta si confonde operazione con percezione. Si confonde
l'operazione con la rappresentazione di un calcolo. E' un caso che si
definisca come operazione quanto invece è una percezione o una
rappresentazione?
Una operazione è definita dalla reversibilità,
dunque:
se A &endash; B = C allora C &endash; B = A oppure A + B = C
Appare evidente che l'operazione si fa quando
il soggetto è in grado di lavorare sulle proprietà e
sul ritorno allo stato di partenza.
La vera reversibilità si manifesta quando il soggetto è
in grado di svolgere l'operazione inversa.
Il calcolo scritto, magari in colonna, invece non fa che mettere in
moto dei pattern di calcolo, di eventuali memorizzazioni di schemi di
calcolo, di eventuali disposizioni spaziali delle cifre. Non per
nulla, in attività sul valore posizionale delle cifre, molti
bambini rispondono conoscendo la posizione delle cifre ma non il
valore della posizione.
Un algoritmo non è un operazione. Esso non è che una
rappresentazione. Un algoritmo può eventualmente diventare una
rappresentazione di una operazione, quando, ben intesi, il soggetto
soddisfa alle necessità logiche appena descritte.
pensiero operatorio
In un articolo del 1963 27)
P. Marty - M. De M'Uzan descrivono una dimensione
clinica del pensiero che accompagna la malattia psicosomatica: un
pensiero senza attività fantasmatica e che accompagna, segue o
precede l'azione descrivendola, ma in un lasso temporale
limitato.
Senza entrare nei dettagli di ciò che loro hanno chiamato
"pensiero operatorio" vediamo che le analogie con un funzionamento
percettivo o senso motorio sono molteplici.
E se tale pensiero nulla a che fare con il pensiero operatorio
(concreto o formale) di Piaget, dato che la prima accezione concerne
una dimensione simbolica e quella di Piaget una dimensione
epistemica, curioso è rilevare come la definizione rimane la
stessa
Vediamo brevemente le caratteristiche.
La parola del soggetto non fa che illustrare la situazione, non
implica nessuna elaborazione, è fissa sul presente. Pensiero
senza associazioni, la sua realtà sta essenzialmente nel fatto
che esso non consiste a significare l'azione ma a doppiarla. Il verbo
ripete ciò che la mano fa. Attaccato al presente, non permette
i benefici che i distacchi temporali della memoria permettono al
soggetto, favorendo la fissazione di immagini, simboli, ecc
Smunito di valore libidinale, non permette nemmeno
l'esteriorizzazione dell'aggressività. La sua attività
si lega principalmente alle cose e non all'immaginazione o alle
espressioni simboliche, ciò che suggerisce una scarsa
connessione con le parole, almeno al di là del loro aspetto
più strettamente descrittivo. Eliminando la distinzione tra
significante e significato i due tendono a confondersi . Questo
pensiero permette una padronanza solo parziale della realtà, o
una pseudo padronanza apparente perché si fonda solo sul
controllo della catena delle azioni
Il termine stesso di "operatorio" suggerisce bene la dimensione del
fare, della esecuzione.
Questo è dunque un pensiero retto da un pensiero primario, dove i processi primari sono quelli dominanti rispetto la fantasmatizzazione differita e una elaborazione dell'esperienza.
Processo primario
E' retto principalmente dalla tendenza alla gratifica immediata (scarica della carica psichica) che è caratteristica di un Io immaturo; caratteristica che domina nettamente l'infanzia e la prima infanzia, ma che rimane sempre presente in tutta la vita. La rappresentazione verbale non viene usata in maniera così esclusiva come nel processo secondario.processo secondario
E' retto principalmente dalla possibilità o dalla capacità di ritardare la scarica energetica. E' il modo di pensare di un Io relativamente maturo, è retto dal linguaggio e risponde alle leggi della logica e della sintassi
Anche qui le analogie con quanto andiamo descrivendo appaiono numerose e ricche di spunti di riflessione.
stadio
Lo stadio rappresenta una suddivisione dell'evoluzione. Ha una
sua struttura e coerenza interna che lo differenziano dagli altri.
L'ordine delle acquisizioni é costante e uno stadio precedente
viene ad essere inglobato in quello successivo tramite l'integrazione
delle strutture
d) figurazione e operazione
Lo sviluppo che porta alla creazione
della funzione simbolica (l'immagine mentale ne è una
componente come il linguaggio) non si stacca dal lato operatorio.
Vale a dire: la figurazione non si sviluppa autonomamente.
L'immagine mentale è uno strumento di conoscenza e dipende
dalle funzioni cognitive. Queste si dividono in due distinti aspetti:
l'aspetto operatorio e l'aspetto figurativo.
Per Piaget c'é una linea diretta che dalla rappresentazione
porta alla rappresentazione, per l'intermediario dell'imitazione. La
rappresentazione è la base, lo strumento, la funzione
costituente della rappresentazione.
Ci sono tre forme di immagine:
Vi è quindi uno sviluppo stadiale che porta dalla percezione all'immagine mentale.
A livello senso motorio possiamo vedere quindi
come la percezione può far scattare delle azioni di ricerca o
d'attesa di un oggetto (il bebè vedendo la porta che arriva sa
che la madre sta per arrivare). Nell'imitazione c'è una
schematizzazione di un contenuto (oggetto, individuo, situazione).
Così come di fronte a una scheda di calcolo, lo scolaro imita
quanto ha visto fare e ha fatto in precedenza, il soggetto prova a
dare significato con le proprie azioni a una situazione vissuta od
osservata. Gli schemi sono eseguiti precisamente con lo scopo di
riprodurre quanto osservato.
Queste azioni sono contemporaneamente significato quando danno
una misura della realtà, la indicano o la spiegano; sono
significante quando formulano una copia della
realtà.
Tipi di lettura di una scheda o di una esperienza
Sequenziale
Rappresentativa
Tipi di rappresentazione
1) Testuale
2) Numerica
3) Affettiva
4) Concettuale (visiva)
5)
6)
lineare
retroattiva
proattiva
- C'è poi l'esecuzione motoria dell'esperienza che tende ad eliminare la sua rappresentazione per una esecuzione
Nell'aritmetica avviene la stessa cosa. Tutto
ciò vale anche per il calcolo, la sua tecnica e la sua grafia.
Purtroppo negli esempi descritti constatiamo che lo scolaro riproduce
gli algoritmi confondendone la natura. Per quegli scolari gli
algoritmi sono il significato stesso del calcolo. Confondono il
significante con il significato. A scuola danno senso solo alla
tecnica, solo alla copia, alla raffigurazione del calcolo (la sua
scrittura). La realtà, il significato stesso del
calcolo è la sua grafia e l'esecuzione del algoritmo come a
sé stante, e non come raffigurazione di una operazione
concreta.
Fino ai sette, otto anni il bambino non può produrre che delle
immagini "statiche". Immagini non adatte a figurare movimenti e
trasformazioni. Il carattere statico di queste immagini, la loro
impossibilità di portare a delle anticipazioni sono
strettamente legate alla natura del pensiero pre- operatorio.
Sappiamo, per esempio dalle ricerche sulla conservazione, che il
bambino centra la sua attenzione sulle configurazioni invece che
sulle trasformazioni. Così con la permanenza della sostanza il
soggetto si lascerà intrappolare dalla percezione che
avrà avuto. Non interessandosi all'azione, il bambino
comparerà unicamente le due configurazioni, iniziale e
finale.
Questo l'abbiamo ricordato, è il contesto nel quale si
manifesta il pensiero pre- operatorio, pensiero statico, senza
reversibilità delle operazioni. Il dinamismo dei contenuti,
nei contesti cinetici e delle trasformazioni non potrà esser
colto.
Questa immagini, seppur interiorizzate, sono dominate dalla propria
limitazione intrinseca: servo a copiare, riprodurre. Loro scopo
è d'imitare e non costruire o produrre.
Se tali immagini servono a titolo d'informazione o d'archivio, non si
può pertanto dire che favoriscono il pensiero. Le immagini
legate alla non conservazione della sostanza (livello più
alto, più basso, ecc
) non concorrono per nulla alla
comprensione di questa trasformazione (che avverrà solo con
l'acquisizione della reversibilità).Le immagini
d'anticipazione sono possibili con il pensiero operatorio. Queste
corrisponderebbero allora a una seriazione di stati successivi, ma
solo il pensiero, il linguaggio saprebbe coglierne e descriverne i
legami
Appare costante quindi che sempre la
comprensione di una trasformazione o una conservazione come ad
esempio 43 + 38 = 81) va al di là della sua immagine. Non
è l'immagine che viene a costituire la sua comprensione. La
comprensione viene a costruirsi sulle azioni del soggetto.
L'immagine rimane comunque sempre necessaria, perché le
conservazioni di una trasformazione si basano comunque sulla
percezione di una trasformazione che ha evidentemente due stati.
L'uno successivo all'altro. L'immagine fissa poi le conoscenze del
soggetto in qualcosa che è trasmissibile
Il confronto
contraddittorio di immagini o il confronto d'immagini contraddittorie
porta in esso le condizioni ambientali affinché il soggetto
abbia a modificare il proprio sguardo sugli avvenimenti.
Una distinzione importante, una frontiera da
superare per il soggetto è quella che separa riproduzione
o anticipazione dell'immagine. La prima essendo quella che
fa resistenza allo sviluppo delle operazioni concrete.
Per vedere uno schema che esplicita una didattica delle
rappresentazioni vedi allegato B.
Immagine e linguaggio
L'immagine mentale come il linguaggio è una componente
dello sviluppo delle conoscenze e della funzione simbolica. Quali i
rapporti fra competenze linguistica e creazione di immagini
dunque?
Quante volte il bambino non sa fare uso pertinente del linguaggio?
Quante volte sentiamo dire espressioni costruite sui vocaboli "questa
cosa", "questo qui", "quello là", ecc
dove
l'indicazione non è linguistica ma percettiva (il dito che
indica)?
e) sulla natura dell'errore
In età evolutiva bisogna
considerare lo squilibrio cognitivo come qualcosa di più che
essere solamente legittimo. E la fonte stessa, il motore
dell'apprendimento. Senza squilibrio il soggetto non è
chiamato a riflettere su nuove modalità di computazione della
realtà. L'errore è dunque testimone di una elaborazione
ancora insufficiente, che abbisogna di accorgimenti sul piano
dell'esperienza e delle sue rappresentazioni.
Questa considerazione è valevole per qualsiasi processo di
apprendimento, ma tanto più in età evolutiva - che si
definisce da sé - in quanto si riferisce ad un soggetto che si
vede trasformare sotto vari aspetti: da quello della maturazione
neurologica e biologica, a quello cognitivo ed affettivo, a quello
sociale, il bimbo deve ancora superare degli stadi di sviluppo che,
in quanto tali, manifestano delle possibilità (residue) e
condizioni (limiti) dello stesso.
Ecco alcune dicotomie.
contenuto - processi
Il lavoro sui primi porta sempre a definire un errore, il lavoro sui secondi porta a definire delle modalità come migliori o peggiori, più o meno economiche, più o meno primitive. Ma difficilmente possiamo parlare di errore rispetto una modalità che magari si rivela poco efficace ma che manifesta di un livello specifico di competenza dell'allievo.
esercitazione - test
Molto sovente non c'è uno spazio per la sperimentazione, per i tentativi. Certamente l'esercitazione è da considerare come spazio di apprendimento, ma quante volte è proprio così? Il fatto stesso di negare all'allievo la possibilità di sbagliare sta proprio nella correzione che gli viene proposta.Per diventare un campione uno sportivo si allena lungamente e duramente, sa che durante l'allenamento può effettuare tutta una serie di esercizi. Durante la gara verrà poi sanzionato, scoprirà quanto vale realmente. Ha uno spazio per l'allenamento e uno per la gara. I due devono essere distinti.
immediatezza - attesa
Un compito, che sia un problema o una scheda di ricupero, esige una risposta, Una esperienza esige una azione (una operazione). Un'azione deve essere svolta (realmente o virtualmente, tramite una rappresentazione mentale) e deve poi essere tradotta in una rappresentazione condivisibile e condivisa. Il lavoro sull'errore si fissa sulla rappresentazione (es. una addizione errata) oppure sulla modalità attuata dal soggetto? Vale a dire guardare come ha fatto il bambino significa posporre la soluzione finita. In questi casi talvolta il pensiero appare bloccato perché si aspetta solamente il risultato da imitare.
paura - tranquillità
E' innegabile che la risposta elaborata dal soggetto sia caricata di ansia. Ansia per la reazione del docente. Ansia per la gestione della risposta. Si sa che il funzionamento primario tende a delle scariche immediate. Le funzioni della rimozione (affettiva, dinamica) e della memoria cosciente (cognitiva) sono in contrasto. In questo senso il soggetto è legato alla rimozione (della reazione del docente, della vergogna dell'errore, ecc ) e alla non memorizzazione cognitiva dell'esperienza. Non c'è memoria di quanto fatto e la coazione a ripetere é regina in quest'ambito (come spiegare il conteggio 1 a 1 in una addizione tipo 5 + 6 fatta sulle dita ancora in 3a, 4a o 5a elementare?
Accanto a queste dicotomie se ne potrebbero associare sicuramente delle altre. Appare comunque evidente da queste noterelle che la gestione dell'errore richiede una attenzione che non è meccanica. Il lavoro sull'errore non consiste nell'esser recuperato nella sua euristica. Principalmente deve permettere una liberazione della soggettività, del desiderio di sperimentare, della legittimità allo spreco, ecc
sulla natura dell'errore (2)
Ogni errore del soggetto dovrebbe riferirsi a
una competenza che il soggetto stesso mette in opera. Quando il
soggetto sta sbagliando corrisponde a un suo processo di
"ipotizzazione", vale a dire se così si comporta é
perché gli indizi che lui ha raccolto lo portano a quel tipo
di soluzione. E' ben vero che - data la nostra consegna - raccoglie
indizi non pertinenti, ma sono quelli che lui é in grado di
raccogliere, sono quelli che lui si permette di raccogliere, quelli,
e non altri, che può raccogliere. Il giudizio "é un
errore" che é in primo luogo il nostro, non é
soggettivamente presente, vale a dire il soggetto può sentirsi
più o meno ansioso, più meno bravo, intelligente,
diligente, stupido o quant'altro, ma non saprà soggettivamente
scoprire spontaneamente il suo errore. Non saprà
soggettivamente dire sono in errore.
Quale il suo errore? Per intenderci: quale il suo vero errore, al di
là di quello che noi scopriamo nelle sue risposte sbagliate?
Quello di aver tentato una soluzione? Quello di essersi esposto alla
valutazione del docente? O alla derisione dei compagni?
Non sono pochi gli allievi che rinunciano ad esporsi, abdicando
completamente il pensiero, nascondendosi dietro al banco, o chini su
di un foglio e non alzando più la mano.
Bambini che non pensano? Quali le
possibilità accordate al pensare?
Il pensiero ha delle tappe che devono essere rispettate e queste si
fanno (l'abbiamo già visto in precedenza ma lo rammento
ancora) per esempio:
sulle conservazioni, sulla riuscita operatoria logico-aritmetica
(riuscita logico elementare), sulle conservazioni spaziali, sulle
possibilità combinatorie e quindi sulla capacità di
coordinare, contemporaneamente un numero maggiore o minore di x di
dati e/o di variabili
Ecc
Oltre il livello epistemologico (più o meno spontaneo)
raggiunto dall'allievo negli ambiti scientifici affrontati, dobbiamo
capire e scoprire quali sono le capacità di rappresentazione
del bambino. E quali sono i blocchi, l'ansia e i fantasmi che reggono
il pensiero del bambino
tipi di errore
esperienze
Quale permanenza dell'oggetto se non
c'é oggetto?
Quale rappresentazione dell'oggetto (o dell'esperienza) se
non c'é esperienza?
domande
Non potrei, e nemmeno desidero farlo, presentare un
fantomatico manuale del ragionamento. Non sarei in grado di proporlo,
e poi incorrerei nell'errore che si deve evitare: quello di rendere
meccaniche e ripetitive delle attività fuori da un contesto,
da un processo di ipotizzazione e verifica e così via
Più che dare risposte quello che dobbiamo fare è creare
problemi
Premetto, ripetendomi ancora, come il lavoro da proporre vuole mirare
ai modi di processamento del pensiero, alle modalità di
computazione del soggetto. Per esempio, dalla percezione degli stati
della materia (es. i liquidi, la sostanza), o dalla percezione di
configurazioni percettive (il calcolo scritto in colonna) passeremo
all'osservazione delle proprie azioni; dalla somministrazione
ripetuta di attività e di schede passeremo all'osservazione di
quanto stiamo proponendo noi stessi
E' poi questo stesso passaggio che regge il salto dalle
modalità pre operatorie e senso motorie al pensiero operatorio
concreto. Anche se sappiamo che questo salto non è omogeneo e
uniforme ma presenta continui décalages, accelerazioni,
blocchi ecc
E' questo il salto epistemico da svolgere. Una sorta di pedagogia di
secondo livello (secondo H. V Foerster) che invece di occuparsi
dell'oggetto da apprendere si occupa del soggetto che apprende. Es.:
studio d'ambiente o studio del soggetto che studia l'ambiente.
Negli allegati riporto due attività tentate, anche se
ciò per i sommi capi. Molti sono però gli esempi ai
quali potremmo accedere per sviluppare un intervento sui processi,
oppure sui "contenitori" del pensiero: dalle attività di
anticipazione, di ascolto e di gestione mentale, alle attività
che propongono lo sviluppo della metafora, dalle mappe concettuali,
alla decentrazione spaziale, dalla gestione della memoria alla
rappresentazione di un compito, dalle attività di
argomentazione a quelle di co-costruzione, ecc
Ricordo come per R. Arnheim (cfr. opere citate) lo sviluppo del pensiero é fortemente legato allo sviluppo e alla comprensione del soggetto di operare delle metafore di natura rappresentativa (visiva) e spaziale .
Di fronte le difficoltà di ragionamento del
bambino si specchiano le difficoltà di ragionamento del
docente. Le difficoltà reiterate del bambino sono speculari
alla impasse metodologico didattica del docente.
Fare problemi, cosa significa? L'esperienza che il bambino deve
svolgere quale deve essere?
Il bambino non sa ragionare? ma quale l'oggetto del suo procedere,
quale esperienza di conservazione e di converso di
trasformazione della materia? (dove per materia consideriamo
la situazione proposta)?
esperienza
L'esperienza: eccolo un termine "onnivoro", tanto generale quanto
fatale.
Il concetto di esperienza rimanda a quello di oggetto.
Avere la permanenza dell'oggetto significa avere avuto ed avere una
esperienza dell'oggetto. Ciò tramite delle manipolazioni, il
fare delle cose, il fare delle esperienze, avere delle percezioni,
visive, cinestetiche, uditive, ecc
La conoscenza si basa sulle manipolazioni. Da un punto di vista
costruttivista ed evolutivo le manipolazioni sono alla base di ogni
conoscenza e pure delle sviluppo delle scienze. Con le manipolazioni
il soggetto agirà sviluppando raggruppamenti, confronti,
modifiche, ecc
A scuola i concetti di esperienza e di oggetto
rimandano a quello dell'insegnamento. Con i bambini che non sanno
ragionare quale deve essere l'oggetto dell'insegnamento?
Ecco la domanda: quale permanenza, quale esperienza di permanenza
vogliamo sviluppare affinché il bambino abbia ad operare (vale
a dire interagire con l'ambiente sulle sue trasformazioni e
conservazioni), affinché sia il ragionamento ad essere
stimolato? Qual'è l'oggetto d'investimento del docente? Una
questione è desiderare la risposta giusta, un'altra desiderare
lo sviluppo delle strategie e delle strutture del pensiero 28).
Piaget, per esempio, non era tanto interessato alle risposte quanto
alle modalità.
decentramento
L'esperienza di decentramento, fondamentale per lo sviluppo del
ragionamento, è centrale. Centrale perché è solo
con l'uscita dal modo abituale di procedere che il soggetto è
portato a ritrovare altre soluzioni. Purtroppo non è
così facile.
In una attività mentale la possibilità di decentrazione del bambino è difficile. Provate a proporgli una prova di spazio proiettivo come quella delle prospettive. Il bambino non saprà dire come un suo compagno vede la disposizione degli oggetti posti su di un ripiano secondo un punto di vista differente al suo. Problema di immagine mentale, di memoria, di esperienza. Come chiedere ad un adulto di descrivere cosa sta dietro ad un palazzo. Se non ci è andato non lo sa. La possibilità di immaginazione è possibile previa una esperienza concreta (tipo il giro del palazzo) finalizzata al compito descritto
Prendiamo ad esempio il bambino che ad ogni nuovo calcolo deve
procedere sempre e comunque con la sola tecnica del conteggio
iterativo. Quale è il significato epigenetico di un tale
procedere?
Il bambino non è sicuro dell'oggetto, conta uno a uno
perché non possiede un "oggetto numerico". Procede in tal
maniera perché l'oggetto del suo procedere, l'oggetto del suo
"saper contare" è una grafia, è la grafia stessa del
numero (la rappresentazione del numero, la sua scrittura) e non
computo di una manipolazione
Si tratta di ragionare sul tipo di esperienza
che si vuole far vivere ad un soggetto. Saper calcolare e
scrivere correttamente si rifanno ad una esperienza che non mette in
gioco automaticamente una competenza numerica.
Possiamo investire sempre e comunque le competenze percettive, come
la grafia di un calcolo, o la corrispondenza di una quantità
numerica con la sua traduzione scritta. Oppure le proprietà
delle operazioni aritmetiche - come quelle commutativa, transitiva, e
invariantiva - possono essere trattate in maniera specifica
Certamente possiamo trattare delle difficoltà del ragionare
in alcuni suoi tratti. Favorendo l'apertura di nuove porte per il
bambino, purtroppo non é possibile sostituirsi totalmente e
nemmeno in parte alle esperienze dei bambini.
Rimango comunque nella convinzione che qualsiasi pedagogia debba
cominciare col riflettere. Ripeto allora che per il docente la prima
esperienza in assoluto è sapere e potere sviluppare delle
letture di quanto va affrontando. Quanto è stato
precedentemente affrontato in maniera generale (vedi concetti,
dinamiche ecc
) diventa allora ora un oggetto da investire in
maniera specifica. Si tratta quindi di valutare caso per caso
l'errore, ipotesi e teorie del soggetto.
ragionare
Torniamo infine all'inizio, all'avvertenza di Bertold Brecht
riportata nella premessa, e al mio ammiccare alle "spiegazioni
causali". Per ora mai ho affrontato questo tema. Ma sarebbe l'ora di
farlo.
Per ora mi sono limitato ad una lettura critica della
quotidianità pedagogica senza mai mettere in discussione il
tipo di contenuto offerto al bambino: mi sono lanciato nelle lettura
e nella formulazione di ipotesi di intervento rispetto al materiale
che tradizionalmente proponiamo ai bambini.
Ho cercato di ipotizzare delle variazioni nella presentazione dei
materiali, senza pensare, per ora di modificare i materiali. Mi sono
quindi sempre, per ora posto sul terreno dei problemi aritmetici,
della lettura di testi, del calcolo, ecc
cioè di quanto
a scuola viene codificato come obiettivo di programma, come
conoscenza da padroneggiare.
Ho funzionato circolarmente. Sono delle "reazioni circolari" quelle
che ho proposto, delle variazioni sullo stesso tema
Tutto ciò era implicito e finché fosse rimasto
implicito avrebbe corso il rischio di incorrere - parlo di questa
dissertazione - negli errori che vorremmo evitare.
Ma ora si tratta di esplicitare quanto fatto: ma ci si deve sempre e
solo muovere nell'ambito di quei contesti scolastici? Ma
perché l'esperienza scolastica deve essere quella (solo
quella) riportata nei test e nelle schede?
In verità si deve anche pensare se per insegnare il bambino a
ragionare dobbiamo limitarci a quei simulacri oppure se non possiamo
muoverci su un terreno solo apparentemente totalmente nuovo.
Perché - per favorire delle competenze di ragionamento e delle
esperienze cognitive - non ci muoviamo infine in un terreno
infinitamente più ricco e che é quello delle relazioni
causali? Tutto il pensiero scientifico si costruisce su delle
relazioni di causa effetto. E poi tutte le relazioni umane si
definiscono sulle medesime dinamiche, sulle relazioni di causa
effetto (e sappiamo troppo bene come queste non siano rette da
una semplice causalità lineare, quanto piuttosto
circolare).
Ma la domanda che ora deve venire sviluppata
è la seguente: ma per far ragionare i bambini si devono dare
per forza dei problemi aritmetici? Ma i problemi aritmetici
favoriscono il ragionamento? Oppure basta dare un problema aritmetico
(qualsiasi problema) perché il bambino si metta a
ragionare'.
Certamente che no. I problemi aritmetici non favoriscono in maniera
generalizzata il ragionamento. Anzi talvolta essi sono presentati poi
come una semplice codificazione di una situazione e la soluzione
consiste solamente nel cambiare il tipo di codifica (vedi un esempio
molto terra a terra allegato).
Certamente: gli ambiti del ragionare sono molto più vasti di
quelli aritmetici. Essi investono tutto il campo dell'esperienza, che
sia fisica, musicale, intrapersonale, corporea, ecc
29)
E' questo poi un terreno che é già stato esplorato da
Jean Piaget 30) negli
inventari. In questa raccolta di schede vengono riportate decine e
decine di esperienze scientifiche.
Quanto mi pare importante è la
considerazione finale seguente.
Non sono le soluzioni ad essere importanti; ma le domande ben fatte
permettono al bambino di sviluppare dei percorsi di ragionamento nei
quali possono osservare delle costanti e delle regolarità che
siano:
o dell'oggetto studiato &endash; e allora ci muoveremo sul terreno
delle conservazioni, del numero dello spazio, della materia, e
così via;
o del soggetto che studia &endash; allora ci muoveremo sul terreno
delle operazioni mentali e delle sue strutture.
Sono quest'ultimi due aspetti &endash; specialmente il secondo - che spero di sviluppare in un futuro.
Brissago, gennaio 2003
Giovanni Galli
psicologo FSP, ASPEE
Cadogno
Via Costa di mezzo 48
CH - 6614 Brissago
++41 (0)91 754 24 11
giovanni.galli@psychologie.ch
ggalli@ticino.edu
http://www.ticino.edu/usr/ggalli
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http://www.ticino.edu/usr/ggalli/calica.htm
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Allegato A
Le tre piccole
proposte che presento sono incentrate sulle reazioni circolari.
L'esperienza e la sua ripetitività come reazione circolare e
come variazione sulle medesime reazioni circolari. Se dovessi farne
un commento parlerei di ripetizioni. Ripetere per portare un
altro sguardo sulla ripetizione
Mi muovo decisamente in un ambito tradizionale per quanto riguarda i
contenuti
1. la bella ortografia
Andrea, in classe
terza, non presenta particolari e specifiche difficoltà
ortografiche. Sbaglia grosso modo quanto i suoi compagni.
Ha una buona competenza fonografica - sa far corrispondere
correttamente ogni segno grafico a ogni suono - e sa segmentare le
parole. La sua padronanza del codice, in quanto disposizione e
capacità di saper far corrispondere suono a segno grafico,
é dunque buona
Quando copia un testo, che sia a distanza o ravvicinato, scrive
sempre una lettera dopo l'altra, copia lettera dopo lettera, senza
mai fissare spezzoni di frase, parole o sillabe. Incede sempre senza
mai fissare mentalmente più di un segno grafico per volta.
Sovente non copia da sinistra a destra, rispettando il ritmo e la
direzionalità della lingua italiana scritta. Copia dall'alto
al basso. Vale a dire:
copia la prima
lettera a sinistra della prima parola della prima riga,
copia la prima lettera a sinistra della prima parola della seconda
riga
copia la prima lettera a sinistra della prima parola della terza
riga
e così via di seguito sino ad essere arrivato al fondo del testo
copiando la prima lettera a sinistra della prima parola dell'ultima riga.
Poi ricopia
copia la seconda
lettera a sinistra della prima parola della prima riga,
copia la seconda lettera a sinistra della prima parola della seconda
riga
copia la seconda lettera a sinistra della prima parola della terza
riga
e così via di seguito sino ad essere arrivato al fondo del testo
copiando la seconda lettera a sinistra della prima parola dell'ultima riga.
E poi continua con la
terza lettera. Eccetera
copiando quindi non da sinistra a
destra ma dall'alto al basso.
Naturalmente in questa maniera non accede mai ai significati, non sa
mai cosa sta scrivendo.
intervento
Per informazione dico anche che la grafia, il gesto grafico
é curato. Andrea ha una buona calligrafia. Andrea ama anche
molto disegnare, specialmente curare i disegni.
Un giorno, per uno specifico progetto pedagogico, la sua classe deve
corrispondere in inglese con una classe estera. In effetti la classe
di Andrea ha al suo interno alcuni bimbi di lingua madre inglese,
ciò non comportava dunque problemi di traduzione e
comprensione.
Andrea ricopia le lettere da spedire. Non parla inglese e ricopia due
pagine manoscritte in inglese.
Un compito che a noi appare incredibile, improponibile, lo effettua
senza obiezioni e senza ulteriori difficoltà.
Ebbene cosa succede?
In questo esercizio di ricopiatura senza senso Andrea si applica
talmente, sino (finalmente) scoprire che "Ascona", il nome della
cittadina dove lavoriamo, non necessita di essere ricopiato lettera
per lettera "perché so cosa vuol dire" (alla buon ora). Questa
la scoperta fatta da Andrea: l'accesso ala senso. L'attività
di copiatura può essere un lavoro legato al senso, le parole
che copio hanno un senso e posso ricopiarle tenendone a mente uno a o
più senza più fissarmi unicamente sui grafemi. Invece
di ricordare uno due o tre grafemi ora ricorda una due o tre parole
2. Dizioni
prima osservazione
Caterina é impegnata in una lettura.
Legge bene la scheda (una storiella), nel senso che la sua dizione
é discreta, il testo relativamente ascoltabile, ecc
Legge forse un po' in fretta senza avvedersi regolarmente di tutta la
punteggiatura.
Normalmente, quando Caterina legge, legge sempre sottovoce, mai
mentalmente.
Finita la lettura non sa rispondere a delle domandine. La docente
invita la bambina a rileggere. Caterina rilegge per ben due volte, ma
non sa rispondere ancora alle domande.
commento
Ciò che ha letto non le pone il problema del significato. Sembrerebbe che per lei "leggere" sia pronunciare ad alta voce i suoni. Non immagina che il testo abbia un significato perché non si pone minimamente il problema che il testo ne possa avere uno.
Per lei leggere significa decodificare.
intervento
Alla bambina viene proposta una scheda assolutamente illeggibile
sul piano del significato. Le parole della storia proposta in
precedenza sono state tutte rimescolate aleatoriamente.
Dopo una prima scheda gliene propongo una seconda. In questa maniera
procede per circa 15 minuti di lettura ad alta voce. Ecco che alla
fine di questo "esercizio" a una mia precisa domanda risponde: "Mi
é piaciuto, perché le lettere
mi piaceva
dire".
3. ancora
dizioni
Ancora Caterina. Questa volta le do due versioni di un
medesimo testo, la prima corretta la seconda con tutte le parole
rimescolate in maniera confusa, come descritto in precedenza. La sola
differenza percettiva dei due testi sta nella formattazione. Uno
occupa più spazio (il teso scompaginato), sembra dunque
più lungo. E dice: "questa storia (sig!) era più bella
perché più lunga".
Intervento
Questa volta le do un testo inglese. A Caterina, molto
seriamente, faccio leggere un testo scientifico inglese. Tanto, se
dovesse persistere nella sua lettura, come atto di unica decodifica,
forse non se ne accorgerà?
Dopo un terzo di paginetta circa dice "ma questo non è
italiano, non si capisce niente".
Allegato B
Riporto qui di seguito alcune proposte che per ora sono state descritte nel documento di lavoro"3 interventi attorno a: "astrazione, simbolizzazione e operatività aritmetica" , e che per ora non ha avuto una divulgazione più larga.
Allegato C) schemini
rappresentazioni
Lavoro sulle
rappresentazioni per andare oltre le rappresentazioni, confronto
sulle rappresentazioni per scoprirne le costanze e le equivalenze ecc
Dalla esecuzione della soluzione alla percezione delle soluzioni
Dalla percezione della soluzione alla percezione delle
modalità interne
Questo é lo schema di un percorso ripetuto e ripetibile
1
AZIONE
Fare il camion
Giocare il camion
2
RAPPRESENTAZIONE
Disegnare il camion (progettare, nominare)
Chi progetta il camion, chi nomina le parti chi, nomina il materiale necessario, ecc
3
RAPPRESENTAZIONE DELLA RAPPRESENTAZIONE O RAPPRESENTAZIONE 2 (di secondo livello)
Guardare, confrontare, discutere i vari camion 1, camion 2, camion n, disegnati dai vari bambini o dallo stesso bambino
Serve per dire: ma tu come hai fatto? e non per guardare le differenti rappresentazioni.
Il lavoro sulle rappresentazioni deve portare sulle modalità interne che le hanno prodotte, il confronto delle rappresentazioni deve in effetti servire per confrontare le modalità, le azioni mentali che le hanno prodotte, e non le immagini. Le immagini servono per quello scopo, altrimenti non servono. Il lavoro sulle immagini (le rappresentazioni) serve se porta a riflettere sulle modalità, altrimenti non vale nemmeno la pena farlo.
In questo percorso ciò che é
interessante é:
- vedere la varie rappresentazioni (fase 3 o rappresentazione di
secondo livello)
- confrontare queste rappresentazioni con problemi analoghi
- fare una rappresentazione collettiva delle rappresentazioni
precedenti (o rappresentazione di un terzo livello) che sicuramente
comporterà soluzioni molto più astratte
Aiutare a ragionare
A) Individuare lerrore, leggere lerrore
Lerrore corrisponde ad una rappresentazione, a una idea, una ipotesi, una modalità di trattazione dei dati e di tradurli in un altro linguaggio
tipo di codifica della situazione
relazione della codifica con lesperienza
- codifica verbale
- codifica aritmetica
- codifica affettiva
- codifica scientifica
- azione
- gioco
tipo di codifica del docente e dellallievo B) partire dai differenti tipi di rappresentazione e fare un confronto
c) lavoro sulla soluzione
lavoro sulle modalità
percettivo: qualè la soluzione, il risultato
operatorio: cosa ho fatto
Domande tipo:
cosa hai trovato
come hai fatto
ciò eventualmente spinge a un confronto percettivo
ciò eventualmente spinge a una osservazione delle azioni (che può diventare operatorio?)
domande
Bambini che non pensano dunque: 2 modi di valutare la questione:
A) interna al soggetto, le possibilità interiori che il bambino possiede;
B) esterna, del ambiente, della classe o della programmazione didattica: quali possibilità vengono accordate al pensare del bambino?
Domande:
1. Quali sono le possibilità del pensare che soggettivamente si dà il soggetto (blocchi, ansia, ecc ) o che semplicemente possiede il soggetto?
2. Quali le possibilità da un punto di vista evolutivo ed epistemico?
3. Quali sono le sue competenze di visualizzare, cioè creare immagini corrette?Punto due, facciamo un breve esempio.
Il pensiero ha delle tappe (e delle esigenze). Queste tappe si fanno:
- sulle conservazioni,
- sulle riuscite logico aritmetiche,
- sulle possibilità combinatorie,
ciò determina la quantità e la qualità di dati e variabili che posso coordinare.
condizioni:
Ogni errore di lettura si riferisce ad una competenza, ad una riuscita operatoria che il soggetto non ha ancora potuto costruire.
Es.:
- confusione tra valore e marca
- mancata padronanza della seriazione
- mancata padronanza dellinclusione di classe
- mancata padronanza della combinatoria
- mancata padronanza delle conservazioni
La domanda diventa quindi: quale la competenza che non appare?
Vi sono almeno 5 condizioni che portano alla ridondanza di un errore. Queste condizioni possono essere dello scolaro come della situazione proposta. Sono quindi limitazioni interne al soggetto o limitazioni esterne al soggetto, vale a dire limitazioni dellimpostazione del problema da parte del docente
- il tipo di problema (la situazione) permette di ragionare
- la competenza linguistica, le lettura del testo (competenza semantica, padronanza del codice, ecc )
- possibilità soggettive (ansia, blocchi, fatica, perseveranza )
- livello operatorio
- capacità rappresentative simboliche
Nota: il riferimento è sempre agli errori di ragionamento. Non trattiamo invece quelli di computazione,
Esempi di problemi senza ragionamento
(fare una trascodifica è un ragionamento?)
Ragionare = tessere delle relazioni, fare delle ipotesi, verificare le variabili
Un problema del tipo 43 + 53.
Facevo la spesa . Ho speso 43.- franchi per alimenti vari. Poi ho ancora speso 53.- fr. per una camicetta. Quanto ho speso?
Ebbene non é un problema. Ma solo una rappresentazione o una codifica. All'allievo non chiede di fare altro che di tras-codificare quanto scritto in un calcolo
2) Cfr. nota precedente. (torna)
3) A proposito delle intelligenze multiple cfr. ad esempio i due testi di H. Gardner citati in bibliografia; sulla molteplicità dei percorsi operatori cfr. F. Longeot, Les stades opératoires de Piaget et les facteurs de l'intelligence, Presse Universitaire de Grenoble; per quanto riguarda lo sviluppo cognitivo come ritorno a condotte ri-attualizzate vedi P. Mounoud - A. Guyon-Vinter, Développement cognitif: construction de structures nouvelles ou construction d'organisations internes, Bulletin de psy. 1979, XXXIII, 343, 107-118; sui décalages cfr. ad esempio J. Piaget, Lo sviluppo delle quantità fisiche nel bambino, La nuova Italia; sul concetto di viscosità vedi B. Inhelder, I disturbi dell'intelligenza, Franco Angeli. (torna)
4) Si potrà
obiettare che la costruzione di questa corrispondenza rivela dalla
comprensione, ed è dunque un atto intelligente. Certo, anche
la permanenza dell'oggetto primario, come pure l'apprendimento della
guida dell'automobile sono frutto di un atto d'intelligenza. Ma
è un dato di fatto che è una conoscenza senso motoria e
che deve manifestarsi nella sua automaticità, come un arco
riflesso, ci mancherebbe che l'autista debba pensare a tutte le
operazioni che sta facendo e che deve fare quando deve frenare
bruscamente per evitare un incidente! Certamente: una buona
padronanza, una buona meccanica libera il soggetto ad altri compiti
Ma è proprio questa "meccanica non liberata" ad
occuparci, questa impossibilità del soggetto a muoversi oltre
la meccanica.
Prendiamo pure anche come esempio la lettura di un testo straniero:
non dobbiamo certamente più preoccuparci del come si
pronuncia, ma tutto ciò avviene per automatismi
Oppure prendiamo lo stesso atto dello scrivere: l'attività
redazionale si divide certamente in una parte ortografica e un'altra
di senso, di trasmissione di informazioni e/o d'esperienze
(torna)
5) Troppo sovente si dice dell'allievo che non é motivato, che é un lazzarone, ecc Ciò che si deve considerare e capire é che per l'allievo é molto più difficile sopportare l'onta dell'insuccesso, oppure gestire la rabbia del propria non riuscita che non la "gloria" dovuta alla buona risposta. Se solo potesse vorrebbe ben essere un allievo modello. Non si diverte certamente ad essere lo zimbello del gruppo e del docente (torna)
6) E' interessante
rilevare come vengono considerati i contenuti cosiddetti trasversali
nei programmi della scuola. Questi sono intravisti nello studio
d'ambiente. Temi come "l'acquedotto comunale", "il bosco", "la
castagna, "l'inverno", ecc
vengono quindi a stimolare
l'allievo favorendo l'applicazione delle competenze di lettura,
scrittura, calcolo, ecc
arricchendone sicuramente il bagaglio
enciclopedico dell'allievo. A questi contenuti omogenei impostati dal
docente per tutta la classe si aggiungono poi oggi le "ricerche"
personali quali il "capolavoro" al fine di favorire maggiormente
l'interesse del singolo allievo e la differenziazione pedagogico
didattica.
E' interessante però rilevare come in questi ambiti tutto sia
ancora di sapore "enciclopedico". Trattiamo ancora di conoscenze non
di processi. A questo livello favoriamo lo sviluppo di conoscenze
legate all'ambiente vissuto e sicuramente importanti per la
comprensione del territorio nel quale si vive. Favoriamo pure una
applicazione, come detto, di competenze computazionali.
Eppure
Perché lo studio d'ambiente deve sempre essere
fisico-geografico? Perché non può per esempio essere
musicale oppure logico aritmetico? Perché un tema come quello
delle "Strutture" non vede la luce? Eppure la nostra vita, il nostro
ambiente è pieno di strutture che meritano un'analisi
Oppure "Analogie, astrazioni, simulazioni"
Il considerare le analogie che ci sono fra modi di pensare in ambiti
professionali differenti non sono forse, non potrebbero forse essere
oggetto di uno studio d'ambiente? L'ambiente si definisce unicamente
per le nozioni che gli allievi sono obbligati ad ingurgitare oppure
l'ambiente si definisce anche e soprattutto per le operazioni che
svolgiamo con esso e su di esso? (torna)
7) Per una definizione interessante dei copioni cfr. H. Gardner, Educare al comprendere, stereotipi infantili e apprendimento scolastico, Feltrinelli (torna)
8) H. Von Foerster, Percezione del futuro e futuro della percezione, in Sistemi che osservano, pag. 129-130. (torna)
9) Giovanni Galli, "Perché il "realismo" ha il sopravvento?, Calicanto, rivista on-line di antropologia dell'educazione e della dominazione, n° 0, http://www.ticino.edu/usr/ggalli/realis.htm (torna)
10) Fra le attività più significative a tal riguardo ci sono i cosiddetti problemi aritmetici (oggi chiamati anche situazioni). La maggior parte delle volte, nel miglior dei casi si tratta di situazioni facsimile, non reali problemi, poiché la soluzione già c'é. Banalizzazioni di attività quotidiane, quali fare la spesa, salire su di un autobus, giocare a palla totalmente scollegate dalle esperienze e motivazioni dei bambini. Il fatto poi che siano scritti e che molto raramente vengano realizzati come una esperienza concreta non deve meravigliarci se poi vengono affrontati e risolti con una "lettura percettiva" o una modalità percettiva di risoluzione dei problemi. (torna)
11) R. Arnheim tratta in un modo molto interessante lo sviluppo della percezione in ambito artistico. In arte e percezione visiva, propone dei modelli di tipo gestaltistico relativi allo sviluppo delle competenze pittoriche (torna)
12) "Quella che sembra essersi imposta in quasi tutto il mondo della scuola é una distensione sterile. Gli insegnati chiedono agli studenti di risolvere certi problemi prefissati, di appropriarsi di liste i termini, di memorizzare e di riformulare, a richiesta, le definizioni", H. Gardner, Educare al comprendere, Feltrinelli, pag. 158. "Le scuole hanno optato dovunque non già per i "rischi del comprendere", ma per il "compromesso delle risposte corrette", op. cit. pag. 150 (torna)
13) Cfr. ad es. De la Garanderie (torna)
14) L. Wittgenstein, in Ricerche filosofiche, tratta mirabilmente delle funzioni della parola, del linguaggio e della comunicazione. Parola, lingua non sono sinonimi di comunicare e di pensare (torna)
15) H. Von Foerster, op. cit. pag. 172 (torna)
16) Le ragioni di questo fatto sono molteplici. In particolare vorrei qui ricordare come la scuola proponga poche esperienze concrete, non é un laboratorio o solamente raramente é un laboratorio. Ma non può nemmeno credersi onnipotente e sostituirsi alle esperienze che mancano dei suoi allievi. Da un punto di vista epistemico si può affermare che la scuola non viene a favorire nuove esperienze per i suoi soggetti quanto a darne un ordine convenzionale (torna)
17) Senza entrare nel dettaglio
vediamo subito come le due situazioni estreme, cioè quella
++ e quella -- possono essere le migliori definite (?).
Sono queste le situazioni di bambini con un QI alto con una buona
strutturazione, soggetto dotati e che godono e hanno goduto di
adeguati aiuti e stimoli casalinghi; e quella di bambini con un QI
basso e una strutturazione bassa. Ci muoviamo qui in un ambito di
deprivazione e di pseudo debilità.Le altre due +-,
-+ sono quelle meno chiare.La prima quella di bambini con un
QI alto ma con una strutturazione bassa, richiama la situazione di
soggetti immaturi, con deficit cognitivo ma drillati, condizionati,
infarinati di nozioni "enciclopediche". Questi in genere si trovano
piuttosto bene a scuola e la scuola non si avvede del loro ritardo
cognitivo.
La seconda quella dei bambini con un QI basso con una buona
strutturazione richiama i soggetti deprivati culturalmente e
socialmente. Sono bambini che paradossalmente sovente vengono
bocciati. Sono le prime vittime nelle scuole dell'ignoranza praticata
e concretizzata relative alle strutture del ragionamento.
Per una mia breve trattazione dei pericoli della differenziazione in
atto nelle scuole vedi i miei articoli: Differenziazione dei
programmi e prossimalità dell'apprendimento, P & E,
psicologia & Educazione, rivista dell'Associazione Svizzera di
Psicologia dell'Età Evolutiva, 2,23, 1997, Solothurn; I
vestiti dell'imperatore (Il soggetto tra globalizzazione e
individuazione), www.ticino.edu/usr/ggalli/vestiti.htm
(torna)
18) A questo proposito cfr. ancora il testo precedente. (torna)
19) Cfr. Watzlawick, J. Weakland, R. Fisch, Change, sulla formazione e la creazione dei problemi, Astrolabio (torna)
20) Bisogna considerare e ricordare che l'errore è frutto dell'azione dell'allievo. Sovente vediamo l'allievo come passivo, così lo descriviamo, ma l'allievo è proprio attivo e sovente a fronte di una sua passività ricettiva (nell'ascolto della lezione) è attivo nelle risposte (seppur erronee) che dà. (torna)
21) Sul concetto di vischiosità cfr. il testo di B. Inhelder, I disturbi dell'intelligenza, edito da Franco Angeli. (torna)
22) Ajuriaguerra, Guignard, Jäggi, Kocher, Maquard, Paunier, Qinodoz, Siotis, Organisation psychologique et troubles du développement du language, in, Problèmes psychologiques, PUF, pagg. 109 - 139. (torna)
23) Cfr. J. Piaget, La construction du réel chez l'enfant, Delachaux et Niestlé (torna)
24) Cfr. J. Piaget, Le possible et le nécessaire, PUF (torna)
25) Cfr. l'interessante lavoro di B. Inhelder op. cit. (torna)
26) Da non confondere con la rovesciabilità (torna)
27) P. Marty - M. De M'Uzan, La "penseée opératoire", revue Française de Psychanalyse, XXVII, n° spécial, 1963, 345-356 (torna)
28) Cfr. per esempio l'interessante testo di Gibello dove dimostra che accanto a buoni risultati al QI nel Wechsler possono esistere gravi difficoltà nel ragionamento in soggetti che presentano delle regressioni o fissazioni disarmoniche nello sviluppo delle strutture cognitive (lui le chiama "i contenenti del pensiero", assieme a una debole coerenza interna di queste stesse strutture. (torna)
29) H.Gardener, in Educare al comprendere, tratta della (non) trattazione a scuola delle diverse forme di intelligenza da lui descritte in Formae mentis. (torna)
30) Cfr., AAVV, Inventaires Piagetiens, Les expériences de Jean Piaget, OCDE (torna)
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indirizzo dell'autore
Giovanni Galli, psicologo FSP, ASPEA, psico-pedagogista,
email: ggalli@ticino.edu